Questa sera, alle ore 21, il Teatro Verdi, ospita “Il Misantropo” di Molière, affidato alla coppia formata da Giulio Scarpati e Valeria Solarino
Olga Chieffi
Un prezioso binomio Giulio Scarpati e Valeria Solarino, saranno i protagonisti, questa sera, alle ore 21, sul palcoscenico del Teatro Verdi di Salerno, di quell’ affresco realissimo, che è il Misantropo di Molière, della borghesia d’oggi. La borghesia è la vera protagonista di quest’opera, figlia della classe dominante del morente feudalesimo di quella metà del Seicento, che già vantava quella inconfondibile epidermide pachidermica di cui attualmente dà prova, la quale se non sopporta le frustate, resta insensibile ai colpi di spilli, anzi di spilloni, che le vengono inferti, poiché, come affermava Voltaire, “questo teatro è fatto per le persone colte”. “Il Misantropo è la storia di un uomo che vuole avere un incontro decisivo con la donna che ama e che alla fine di un’intera giornata non ci è ancora riuscito”. Così Louis Jouvet descriveva il capolavoro di Molière. Lo spettacolo Il Misantropo viene oggi portato in scena, dalla Compagnia Gli Ipocriti Melina Balsamo, diretta da Roberto Andò, per la regia di Nora Venturini. Il misantropo è, noto, la commedia di Molère stilisticamente più riuscita. Boileau, critico austero, severo, togatissimo, lo giudicava un modello di perfezione e, quando Molière scrisse una farsa, una splendida farsa, “Le bricconate di Scapino, si scandalizzò enormemente, poiché, secondo lui, l’autore del Misantropo, non avrebbe dovuto abbassarsi a scrivere una semplice farsa, dove un personaggio nascosto in un sacco prende una frappata di legnate. La commedia ha incontrato molto nei secoli successivi, tanto da essere riconosciuta come capostipite nella storia della commedia moderna, quella che apre la porta al dramma. Alceste più che misantropo è un uomo serio, egli non odia il genere umano; detesta solo gli ipocriti e gli sciocchi, aborre dalle convenzioni mondane false ed insulse. Tragico il suo sdegno dinanzi ai pervasivi “intrigo, adulazione-ingiustizia, interesse, tradimento, astuzia”, il suo desiderio d’essere sempre ad ogni costo “sincero: e da uomo d’onore/non dire una parola che non sgorghi dal cuore”, tragico è anche il suo narcisismo (quel “voglio che mi si distingua”), quel voler volare, a qualunque costo sul mediocre senso del comune. L’azione, quindi non si conclude, come nel Seicento di prammatica, “a lieto fine”. Alceste non sposa la donna che ama, quando si accorge che questa non è degna del suo cuore, Né è recuperabile. La detesta anche perché, oltre ad essere un uomo serio, è un uomo onesto e dotato di una larga dose di ingenuità. “Misantropo”, quindi, non è una qualifica che si addica ad Alceste: non è Moliere a dargliela, è quella società da cui Alceste dichiara, alla fine della commedia, di volersi allontanare. E’ nello scontro tra Alceste (il misantropo) e Oronte (l’uomo di potere) la chiave di lettura del testo. E’ lì che esplode il massimo abuso, dando segno di una società talmente malata di potere e di rapporti di interesse, da giustificare, al limite, la misantropia del protagonista, liberandolo dall’etichetta classica di “caso clinico”. Ma non solo Alceste e Oronte: tutti i rapporti tra i personaggi di questa farsa tragica sono schiacciati verso il basso dagli obblighi sociali e da un aleggiante timore della ritorsione (la denuncia, il processo, l’esclusione dalla “corte”), salvo poi deflagrare violentemente nel finale. Alceste diviene così un militante dell’etica, un “resistente” in un mondo talmente lontano dalle sue istanze da condannarlo irrimediabilmente alla sconfitta. Rapporti di potere e col potere: niente di più vicino a noi. Sembra paradossale, ma la società del Re Sole, asfittica e autoreferenziale, riguarda strettamente la nostra società globalizzata. Un’indagine sul potere, sulle sue malattie. Un’indagine sull’amore: amore che diviene impossibile quando assume, anch’esso, la smorfia terribile di un esercizio di potere.