di Olga Chieffi
Fraseggio generoso ma liricamente controllato, suono pulito frammisto di venature decadenti, una felice combinazione di virtuosismo tecnico e “freddo” romanticismo, è questo il suono particolare del sax di Antonio Florio, erede del segreto delle ance di famiglia, affidatogli dal padre Franco, che Luigi Giudice ha inteso ospitare, nel suo Palm Beach, stabilimento che impreziosisce e anima il lungomare di Capitello d’Ispani, insieme ad un duo di grandissima esperienza, composto da Marcello Pepe alle tastiere e Massimo Galdi alla chitarra. In tre hanno attraversato gli anni più belli, intensi e inarrivabili della canzone italiana, al seguito della Carrà, della Oxa, dei grandissimi della tradizione partenopea. L’atmosfera da vero e proprio night club è stata schizzata da “Tonino” Florio, sassofono dal suono assoluto il suo, che non si limita al sax, ma diventa modello per ogni strumento a fiato, per la sua eguaglianza e al contempo, la sua flessibilità, la sua possibilità di cambiar pelle, le infinite sfumature timbriche e d’attacco, la profondità nel colore, l’emozione, giungendo sino al volto leggero, scanzonato, ironico, caratterizzato dal suo storico slap, che sa quasi di bacio, lanciato ad una ragazza. Supportato da Massimo & Marcello ci ha accompagnato in una piccola storia della musica da “locale”, dalla rivoluzione della bossa-nova di Jobim e Stan Getz, che ci ha fatto ritornare a quella saudade con swing dagli agili ritmi latini, che dette vita a quel raffinatissimo modo di sambare con “Menina moca” sino a “Brasilia”, musica che racconta della vita, che celebra il ritmo del corpo, musica strutturata per raccogliere energia, per comunicarla, “dividerla” e restituirla collettiva attraverso la danza, prima di sbarcare in Italia per incontrare le incontrastate stelle dei locali notturni, da Mina, dalla Bussola alla Capannina, sino a Ugo Calise e Peppino di Capri, per rinverdire i fasti del famoso Rangio Fellone, con i ballabili degli anni Cinquanta, che strizzavano l’occhio allo swing, tra tempi di beguine e moderati slow, dolci melodie e parole sussurrate nel nostro musicale dialetto, adatte al ballo guancia a guancia, in una notte di luna.
Di raffinata eleganza è stata la proposta del tributo ad Ugo Calise e al suo Rangio Fellone con il medley della luna composto da “‘Na voce, ‘na chitarra e ‘o poco ‘e luna”, “Nu’ quarto e’ luna” e “Guarda che luna!”, canzoni in cui si rompe l’alternanza strofa-ritornello, tipica della canzone napoletana classica, esponendo, dopo una breve introduzione, subito il tema, sulle tracce degli standard americani. Il canzoniere italiano, invece, è stato attraversato da Massimo & Marcello, dal repertorio che mai ingiallirà e conoscono tutti, degli anni ’60 e ’70, sino alla Musica leggerissima di Colapesce e Dimartino. Voce e raffinata tecnica musicale per Massimo & Marcello, ma le doti indispensabili per i musicisti di pianobar di successo restano la simpatia e il riuscire a coinvolgere il pubblico in canti e balli. Il pianobar non è un luogo dove ascoltare concerti, ma dove continuare a divertirsi in piena spensieratezza e dove a fine serata vedere distinti professionisti cantare a squarciagola “O surdato ‘nnammurato” o “Azzurro” di Celentano, come è successo al Palm beach. L’atteso momento enogastronomico, dedicato all’oro del Mare Nostrum, innaffiato dai grandi bianchi campani è stato curato da Paolo Caiafa che ha proposto insieme a Francesco Cammarano in vesti di sommelier, cozze fritte e bignè ripieno di baccalà, lasagna di mare, pasta e fagioli con cozze, involtini di spigola con scarola, provola e speck, frittura di calamari e verdure, millefoglie con fragoline e crema chantilly, per impreziosire una serata in cui i linguaggi delle diverse arti si sono osmoticamente intrecciati, in riva al mare.