Rino Mele
Un avvelenamento, migliaia di lavande gastriche, un partito intero che rischia di essere portato al Pronto Soccorso: e negli ospedali napoletani non c’è più posto.
L’avvelenamento politico è la sottomissione servile a De Luca padre, per permettergli di presentare nelle prossime elezioni regionali in Campania, la sua/le sue liste civiche (come se lui non appartenesse al Partito Democratico), e trarne potere e assessorati, continuando progetti economico-politici: e, infine, a De Luca figlio, l’assurda vana offerta della segreteria della Regione (tutto questo in cambio di niente, oppure in cambio di qualcosa: e allora sarebbe un illegale scambio).
Ufficialmente, per permettere a Roberto Fico di essere presidente della Regione Campania e trattenere nel Campo Largo i voti dei Cinque Stelle.
Una pessima cosa che ha costretto i desolati cittadini di Sinistra a ingoiare un rospo (ognuno ne ha ingoiato uno).
Ma intanto, perché altri candidati non si presentano dignitosamente a concorrere all’ufficio di segretario regionale? Ne basterebbe uno, coraggioso, leggero, non appesantito dal rospo appena ingoiato che, una volta raccolte le firme necessarie, partecipasse alle elezioni a segretario regionale. Semmai perdendole. Non c’è? Non c’è. Possibile? Ma allora, qui da noi le elezioni democratiche si fanno a candidato unico? E che elezioni sono?
Forse un motivo profondo c’è: tener lontano – se ci fossero più candidati – il terribile rischio di eleggere uno che meriti davvero quel posto e quella dignità.
Leggiamo su “Repubblica” di ieri, l’articolo di Alessio Gemma, “Regione. Sarracino frena i malumori. Paghiamo un prezzo ma ora c’è Fico”.
Nelle ultime righe, l’articolo dà voce alla dolente delusione degli iscritti: “Un rospo da ingoiare. Schlein dovrebbe venire qui a spiegare le ragioni di questo accordo”.
Dal 26 agosto 2025, il PD non è più un partito democratico (come, invece, dice il suo nome) da quando la segretaria nazionale Elly Schlein ha annunziato che il prossimo segretario regionale della Campania è il figlio (soltanto in quanto figlio) del presidente uscente De Luca, pur essendo per questa carica previste dal Regolamento regolari elezioni: ma la segretaria nazionale ha deciso anche che nessun altro si presenti. Perché? È tempo di chiedersi per quale arcano motivo, pur di compiacere De Luca padre, ormai in uscita dal suo egemone ruolo di Presidente della Regione, dovremmo sacrificare la nostra dignità e distorcere la democrazia del Partito Democratico fino al punto di renderlo irriconoscibile e fascistizzarlo.
In tutto questo c’a un vuoto logico incolmabile. Qualcuno dovrà pur appurare quali sono gli interessi che spingono il PD a distruggersi, suicidarsi, cancellare la sua anima pur di salvare l’opprimente supremazia di De Luca sulla cultura, l’economia e la politica della nostra Regione.
Sono così importanti gli interessi della passata gestione regionale di De Luca, per salvarla così, fino a eternizzarla?
Ancora una volta, l’elettorato è trasformato in gregge, e non bela nemmeno più.
Ma torniamo all’immagine retorica del rospo: un pacifico animale che diventa un’immagine chiusa e aggressiva. Dal carcere di Castel Nuovo di Napoli (ma potrebbe essere stato il Sant’Uffizio di Roma, dove nel 1594/95 era rinchiuso per “eretica pravità”) Tommaso Campanella scrive un sonetto solenne e visionario, dal titolo “Al carcere”. Trascrivo solo la musicale meraviglia dei primi quattro versi: “Come va al centro ogni cosa pesante / dalla circonferenza, e come ancora / in bocca al rospo, che poi la devora, / donnola incorre timente e scherzante”.
La graziosa “donnola” (“timente e scherzante”) di Campanella siamo anche noi: non ci rendiamo conto del pericolo, e precipitiamo nel buio profondo. Nei quattordici versi di questo straordinario sonetto, il nostro filosofo dice che l’enorme rospo (o “mostro”, di cui rospo è una variante dei manoscritti) è figura di un carcere d’aria e ferro insieme: “Io ti so dir; del resto, tutto tremo, / ch’è ròcca sacra a tirannia segreta”. Che ogni giorno sottrae la vita.





