«Perché in 32 anni, nessuno si è ricordato di noi che fummo feriti?». Il sovrintendente capo in pensione della polizia di stato Salvatore Mancì ricorda ancora con amarezza quel triste 26 agosto del 1982, quando, per impadronirsi delle armi di un convoglio di soldati, un commando delle Brigate rosse – partito della guerriglia assaltò un furgone militare che andava dalla Caserma “Angelucci” all’allora “Cascino”. Un’amarezza che continua ancora oggi perché per quell’episodio, che causò la morte di due agenti di polizia e di un caporale dell’esercito, i sopravvissuti non hanno avuto nessun riconoscimento e nemmeno sono invitati alla cerimonia di commemorazione del sacrificio dei loro colleghi. L’azione brigatista fu studiata nei minimi particolari. Il pomeriggio del 26 agosto di 32 anni fa, il commando brigatista doveva assaltare le camionette dell’esercito del cambio guardia per impadronirsi dei loro fucili Fal. Tutto doveva durare pochi secondi. Il luogo prescelto era via Parisi a Torrione, da dove il convoglio doveva transitare. I terroristi, otto o nove, tra cui una donna, verso le 14.45, bloccarono il furgone dei militari minacciandoli con i mitra. Ma arrivò l’imprevisto. Da una strada laterale spuntò casualmente una pattuglia del nucleo volanti della questura di Salerno composta da quattro agenti: vistala i terroristi spararono all’impazzata senza nemmeno dare il tempo ai poliziotti di rendersi conto di quello che stava accadendo. E fu l’inferno. Il primo a morire fu l’agente scelto Antonio Bandiera di 24 anni, originario di Sangineto, in provincia di Cosenza, colpito alla gola mentre stava guidando la pantera della polizia. I tre restanti poliziotti, ancora con l’auto in moto, si gettarono fuori l’abitacolo sparando contro gli assalitori. Salvatore Mancì, nel cadere riportò una vertebra spostata e a stento riuscì a riparare dietro la vettura di servizio. L’assistente Pasquale D’Amelio sparò tutti i colpi della sua pistola, ma il commando era riparato dietro alcuni cassonetti dell’immondizia. Mancì colpì un terrorista ma che indossava il giubbotto antiproiettile. L’agente Mario De Marco, 31 anni di Roccadaspide, nonostante sparasse da dietro un albero fu mitragliato all’addome e alle spalle e morì sul colpo. Subito dopo toccò al caporale dell’esercito Antonio Palumbo, 22 anni di Tuglie (Lecce), che fu ferito nel tentativo di difendere il suo fucile e perse la vita dopo alcuni giorni di ricovero in ospedale. Nell’inferno di fuoco furono feriti i soldati di leva Talamo Ventura e Sergio Garau. Ferito anche lo studente Salvatore De Sio di Salerno, colpito da un proiettile mentre studiava ed era affacciato al balcone di casa. Uno strano destino per Bandiera e Mancì. L’agente cosentino chiese di lavorare il 26 agosto per avere la successiva domenica libera e partecipare a un pellegrinaggio ad un santuario mariano. Mancì aveva chiesto invano quel giorno libero perché era il suo quarto anniversario di matrimonio e il primo compleanno del figlio. «In questi anni avremmo sperato almeno di essere invitati ufficialmente alla cerimonia di commemorazione. Evidentemente la questura è impegnata in altro. Meno male che quel tragico giorno e la memoria dei nostri colleghi rimane indelebile e tutti gli anni siamo sempre presenti in via Parisi per rendere onore alle vittime». Roberto Pianta
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