di Michelangelo Russo
Abbiamo parlato la settimana scorsa del pericolo per la repressione dei reati di abuso, costituito dalla oggettiva oblazione di responsabilità del giudicante quando, anziché alle proprie capacità critiche di valutazione delmateriale probatorio, affida il giudizio di attendibilità delle prove raggiunte esclusivamente all’analisi dei consulenti professionisti, nominati come periti. Per rispondere se il bambino sia stato correttamente ascoltato o meno in base ai canoni guida seguiti dalla comunità scientifica per garantire lag enuinità delle dichiarazioni acquisite. Abbiamo anche detto come, in materia di neuropsichiatria e psicologia infantile, la scelta dei periti può, a seconda dei nominativi incaricati, far propendere le conclusioni, prevedibilmente, verso un esito sfavorevole per l’accusa. Questo perché nel campo scientifico in questione vi è una corrente, minoritaria ma significativa, dei cosiddetti “negazionisti”, ossia quei professionisti restii ad ammettere l’inequivocità di quei segnali e di quei comportamenti indicatori di abusi subiti sui quali, il più delle volte, si fonda l’inizio dell’investigazione della polizia giudiziaria e del P.M.. E’ notorio, in campo giudiziario ed educativo (le maestre, innanzitutto) che il bambino abusato non si metta a dichiarare in pubblico ciò di cui si vergogna sentendosi egli stesso colpevole e che rimuove per evitare il dolore del trauma. Sarà la faticosa opera maieutica degli operatori scolastici, e poi degli psicologi della polizia e del P.M., e poi dei periti del giudice sull’incidente probatorio, ad estrarre dalla memoria traumatizzata delle giovani vittime le tappe del calvario subito. E’ un’operadi ricostruzione, il più delle volte, perché, come si è detto, il bambino rimane reticente soprattutto quando la violenza è intrafamiliare. I comportamenti indicatori dell’abuso sono quindi fondamentali per una ricostruzione del delitto. Negarne la valenza probatoria, che spesso è facilmente riconoscibile finanche dallo stesso giudice, seppur privo di competenze specifica in materia, è già una mezza demolizione aprioristica dell’ipotesi accusatoria. Se quindi il perito è un negazionista (e lo si capisce subito attraverso la sua relazione, in cui negherà la significatività degli indicatori) tutto il costrutto accusatorio parte svantaggiato, perché la prova diventa sostanzialmente, con l’uso delle prassi negazioniste, praticamente irraggiungibile. Per meglio far comprendere, giova citare una riflessione pubblicata da un vate dei “negazionisti”, ildr.Guglielmo Gulotta, avvocato e psicologo forense, che, in uno scritto del 1999, intitolato “Maltrattamento all’infanzia”, cosi’ scrive: “I bambini maschi della tribu’ Sambia della Nuova Guinea, dall’età di sette anni alla pubertà, effettuano delle “fellatio” (rapporto orale) agli adulti, senza mostrare segni di trauma psicologico o di comportamento sessuale aberrante quale risultato. Questo perché i Sambia ritengono che l’ingoio dello sperma aiuti i maschietti a maturare la loro maschilità”. Quindi, per Gulotta, se per i cavernicoli della Nuova Guinea la fellatio dei bambini agliadulti è quasi un momento di festa, e la pratica anzi fa bene ai maschietti, ciò vuol dire che in natura non esistono gli indicatori specifici del disagio. La tesi di Gulotta è sposata in pieno da un paio di periti che in questo momento stanno andando per la maggiore alla Corted’Appello di Salerno. Vediamo che dicono in una sintomatica perizia (a pag.56) discussa in udienza qualche settimana fa; in cui sottolineano…”l’inattendibilità scientifica delle conclusioni cui giungono i Consulenti del P.M. quando descrivono la presenza di indici di traumatizzazione sessuale nella personalità dei minori esaminati. Infatti, per quanto riguarda la presenza di indicatori di abuso, la letteratura internazionale è ormai concorde nel ritenere che non esistono indicatori specifici chimico-psicologici e tautologici che permettano di affermare con certezza che un bambino sia stato vittima di un abuso”. Quindi, stando a questo parere, la circostanza per esempio che una bambina di 12 anni sia incinta, non è un sicuro indicatore di abuso. O il corpicino di un bambino con tracce di sperma sul corpo. Che dire? Pare di leggere Gulotta, citato nelle fonti dalle due perite. Ciò detto, va qui anticipato chen ellaprossima puntata daremom aggiori dettagli su quest’ultima vicenda, perché a nostro parere, più che il verdetto delle perite in questione, sconcerta il modus procedendi della Corte di Appello di Salerno. A presto!!!!!