Daniel Oren e il giorno di Yom HaShoah - Le Cronache
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Daniel Oren e il giorno di Yom HaShoah

Daniel Oren e il giorno di Yom HaShoah

“E’ il giorno più triste del mondo. Il mio pensiero vola a Gerusalemme al Museo della Shoah e alla sala del memoriale dei bambini trucidati nei campi di sterminio. In Italia l’antisemitismo non l’ho mai toccato con mano, in altri paesi si”

Di Olga Chieffi

Alla vigilia della Giornata della Memoria, abbiamo raggiunto il Maestro Daniel Oren, impegnato nello studio del segno musicale del Giacomo Puccini del Tabarro e dell’Amilcare Ponchielli de’ “Il parlatore eterno”, circondato dall’ entusiasmo e dal sorriso dei suoi figli. “Non è facile parlare di Shoah. Tutti noi abbiamo letto, un gran numero di testimonianze sui ghetti, sui campi di sterminio; ogni famiglia ha un parente, un conoscente che ha subito quelle efferatezze, ne saremo sconvolti per sempre. Questa mattina, alle 10, in Israele, per due minuti una sirena squarcerà il silenzio per la commemorazione di Yom HaShoah, i 6 milioni di ebrei uccisi nei campi di sterminio. Ovunque si troveranno, nelle scuole, negli uffici, nei negozi, nelle basi militari, per strada o in spiaggia, gli israeliani fermeranno le loro attività e, in piedi, in silenzio ricorderanno. Anche le auto e gli autobus di linea saranno bloccati e i passeggeri scenderanno per rendere omaggio. Il mio pensiero volerà a Gerusalemme, al Museo della Shoah di Yad Vashem. Sulla sommità di Har Hazikaron, il Monte della Memoria, nella zona occidentale di Gerusalemme, sorge la grande struttura di Yad Vashem, il museo dell’olocausto, la testimonianza della persecuzione e dello stermino sistematico degli Ebrei, attuato con burocratica organizzazione dal regime Nazista e dai suoi collaboratori. Il nome del museo, che significa “un memoriale e un nome”, viene dal libro di Isaia 56:5, dove Dio dice, “concederò nella mia casa e dentro le mie mura un memoriale e un nome … darò loro un nome eterno che non sarà mai cancellato”. Lo spazio più terribile e stordente ed, io ci sono tornato tante volte è il Memoriale dei Bambini, ospitato in una caverna sotterranea, realizzato per ricordare il milione e mezzo di bambini vittime dell’olocausto. Si entra toccando la mezuzà, il piccolo contenitore di legno o metallo che gli ebrei affiggono sullo stipite di ogni porta, nelle loro case, negli uffici, nei luoghi pubblici. Dentro ogni mezuzà un piccolo rotolo di carta riporta il passo dello Shemà Israel dal Libro del Deuteronomio: “Ascolta Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo…”. All’interno del Memoriale dei Bambini si può solo ascoltare. Moshe Safdie, l’architetto che ha progettato questo luogo, ha fatto realizzare un lungo percorso immerso nel buio, rischiarato solo da flebili candele poste a diverse altezze, che creano l’impressione di un piccolo firmamento. Si procede seguendo un corrimano, nell’oscurità. In sottofondo, voci registrate elencano nelle varie lingue i nomi delle piccole vittime. Niente come un elenco riesce a dare al tempo stesso il senso dell’individualità e quello della totalità. Per noi il concetto di memoria è fondamentale, i figli devono conservare la memoria dei padri. Qui si condivide l’inconsolabile dolore di padri che, colpiti dalla tragedia della storia, hanno dovuto conservare la memoria dei propri figli. Si esce da questa esperienza completamente distrutti. Pensavamo che l’antisemitismo fosse finito insieme alla guerra, invece nel mondo cresce e ci preoccupa moltissimo. Non so se i leader del mondo stiano prendendo seri provvedimenti per arginare questa recrudescenza, ma noi cercheremo di inviare il nostro messaggio attraverso la musica. Voi Cristiani avete l’insegnamento dell’Amore di Gesù, che predicate e attuate. Qui devo aggiungere una cosa che sento di dire da sempre. Gli Italiani sono un popolo talmente eccezionale che l’antisemitismo non può attecchire sul serio. Nel ventennio c’è stato, le leggi razziali sono state firmate, ma non lo possiamo minimamente paragonare a quello tedesco. Nel mio caso è uno dei pochi paesi dove posso mettere la Kippah e che se non la indosso, magari mi è volata o altro, e salgo sul podio senza, vengono a chiedere preoccupati, come mai non l’abbia in testa. Gli Italiani sono un popolo speciale, in altri paesi invece, mi è capitato di doverla togliere per lavorare. In Italia c’è grande amore, profondo rispetto, tolleranza e affettuosa accoglienza per tutti, è il mio popolo preferito e speriamo di ritornare a far musica tutti insieme in teatro, strumentisti e pubblico”. E’ qui che ci è tornata alla mente una pagina di Abraham Joshua Heschel, in cui afferma che la musica non è un prodotto dell’uomo, non è creazione nel senso consueto del termine, ma che essa sta nell’uomo, è la sua stessa vita, è il ritmo interiore ed esteriore che regola il suo comportamento, è la legge liberamente assunta che modula dall’interno ogni sua ora, è il tempo che prende forma e che non viene lasciato, così, fluire senza argini, come acqua su pietra. La melodia rappresenta l’estremo tentativo umano di catturare l’uniformità del tempo nel suo scorrere ineluttabile e disperante, di piegarlo alla sua volontà creatrice, costringendolo in ritmi che esprimano le scansioni interiori della vita. E’ per questo che ci accingiamo a definire il sentire musicale di Daniel Oren e di tutti i grandissimi rappresentanti del suo popolo, musica delle azioni, fedele specchio di un crogiuolo di culture e di storie, anche politiche, precarie, eternamente in viaggio, che cambierà il mondo.