Settembre 1967, lasciando l’Orfanotrofio Umberto I
di Salerno
“Un portone ha chiuso alle mie spalle
un passato di sogni e di attese.
Davanti ho una strada che attraversa
un mondo che non mi appartiene.
Quante volte rassegnato, quante volte ribelle,
dalla ringhiera del cortile ne ho aspirato il suo profumo
con occhi di recluso!
Piango.
Sono libero, e… piango.
Ora cammino senza vincoli per il ritorno.
Libero, ma… solo,
come chi ha perso tutto.
Cos’è che mi fa voltare indietro!
cos’è che mi fa camminare piano!
Guardo quelle mura da lontano:
solo adesso mi appaiono sicure.
Ora le lascio
come questa mia gioventù,
come i miei compagni di pochi giochi
e di tante amarezze.
Eppure vorrei correre,
e tornare indietro…
per rivivere la stessa infanzia,
gli stessi momenti d’angoscia,
la stessa solitudine che mi faceva stare ore
ad osservare tutto senza guardare niente,
a restare digiuno per un piatto stantio ma sempre a tavola,
a piangere per un pugno di un compagno più forte.
Ma qualcuno mi ha detto:
«Coraggio! Adesso sei un uomo
che deve andare per la sua strada.»
Io, che mi ritrovo uomo
senza essere mai stato bambino,
ora piango perché sulla mia strada
c’è una libertà che mi fa… paura.
Ah, disgraziata madre,
che non guidasti i miei primi e incerti passi,
perché non sei qui
a schiarire il mio orizzonte,
ad accompagnarmi in questo viaggio
a cui nessuno mi ha preparato?
Sono già lontano.
Sono sempre più solo.
Sempre più forte si fa la nostalgia.
Una sola parola accompagna
tutti i miei ricordi: … «Addio!»”
Luigi Brancaccio