“Maze”, le vertigini di una soggettiva - Le Cronache
teatro Spettacolo e Cultura

“Maze”, le vertigini di una soggettiva

“Maze”, le vertigini di una soggettiva

Buon riscontro di pubblico e critica all’ Auditorium del Centro Sociale di Salerno, per la performance di Valeria Bianchi, Aurora Buzzetti e Giulia De Canio nell’ambito di Mutaverso, il progetto artistico di Vincenzo Albano

 

Di GEMMA CRISCUOLI

Divenire un personaggio, nutrirsi delle sue sensazioni, ricordando lo scopo essenziale del teatro: regalare alla vita nuove possibilità. Conduce il pubblico alle vertigini di una lunga soggettiva “Maze”, l’allestimento di Unterwasser che ha visto sul palco del centro sociale Valeria Bianchi, Aurora Buzzetti e Giulia De Canio nell’ambito di Mutaverso, il progetto artistico di Vincenzo Albano. Matteo Rubagotti ha progettato le luci, mentre le musiche portano la firma di Posho. I “ferri del mestiere” delle tre artiste- acqua, cartone, legno, lucidi, modellini, piccole fonti luminose, plastica,volti in fil di ferro estremamente stilizzati e per questo universali- sono fin dall’inizio sotto gli occhi degli spettatori, orchestrati secondo un raffinato gioco di illuminazione per proiettare sullo schermo figure e situazioni colte dall’occhio della protagonista, che coincide con quello della platea. È inoltre significativo che solo alla fine si capisca che si tratta di una donna, perché chiunque può identificarsi con questo sguardo aperto su un mondo familiare ma non prevedibile, perché fonte e specchio di emozioni contrastanti. Fa parte della vocazione del palcoscenico mostrare la natura artificiale di ogni movimento e ampliarne le suggestioni. Sulla base di un immaginario legato a Tresoldi, Modigliani, Emily Dickinson, si seguono le vicende di una presenza femminile dal concepimento fino alla scoperta dell’amore tra passi falsi e sospensioni liriche. Si coglie un dissidio tra un’esistenza che obbedisca ai ritmi della propria interiorità e l’alienazione di un progresso che non sa essere davvero tale: la pace carezzevole degli alberi dalla finestra dell’infanzia cede il posto al frenetico andirivieni di ombre (perché non si è altro che questo in un mondo materiale) che soppianta senza pudore una giostra allegra di bambini. Il girotondo finale degli amanti compenserà almeno in parte il senso di prigionia di giorni che si svuotano come il bicchiere avidamente bevuto o che inseguono sensazioni forti e distruttive (l’affollarsi dei volti in una discoteca, uniti in un unico impulso di sopraffazione, fa da preludio a una flebo in un ambiente squallidamente privo di ogni cosa, chiara allusione a un coma etilico). Il tuffo in piscina si tramuterà in un movimento libero nel mare, perché solo perdendosi nella propria ansia di libertà, senza ceppi o categorie di nessun tipo, è possibile ritrovarsi e ridare senso al proprio respiro. Il cielo stellato che affonda pian piano nel buio nella conclusione è accorata speranza: spetta solo a noi decidere su cosa varrà la pena aprire gli occhi domani.