di Andrea Bignardi
Una storia emblema di un Sud che prova a non rassegnarsi, esempio di chi di fronte ai momenti di difficoltà che la crisi economica ormai divenuta strutturale comporta si rimbocca le maniche. E lo fa attuando strategie di rilancio, di ridefinizione del core business aziendale partendo dagli storici punti di forza e dalla scoperta di nuovi fattori critici di successo su cui puntare. È il caso della merceria Rispoli, nel cuore del centro storico di Salerno. Fondata nel 1904 ed in attività per ben centoquindici anni fino all’annuncio – nella scorsa estate – della chiusura. Una notizia che non era passata inosservata. Nella moria di negozi ed attività storiche che ha contraddistinto la città di Salerno negli ultimi anni, infatti, quel cartello che laconicamente recitava “Svendita totale per cessazione attività” era stato notato non solo dai tanti cronisti in cerca di notizie per la città, ma anche dai tanti clienti di un’attività storica che tra le merceria storiche della città era rimasta l’unica ad aprire i battenti e a resistere alla morsa della crisi, tappa obbligata insieme alla sartoria Bignardi ed al negozio di stoffe Caterina per gli amanti del cucito. Dopo qualche mese di riflessione, la scelta di Roberto Rispoli, figlio della storica titolare dell’attività: “Non chiuderemo per adesso, ma cambieremo radicalmente il nostro business, passando gradualmente dalla merceria tradizionale alle riparazioni”.
Sembrava tutto finito e invece avete scelto di riaprire i battenti anche dopo il 23 dicembre, che era stata stabilita come data di chiusura.
Non chiuderemo più perché abbiamo deciso di provare a rilanciare l’attività con quello che è il nostro core business cioè la riparazione e l’artigianato.
Come mai questa scelta?
«Ci sono problematiche riguardanti la vecchia merceria che non va più: quindi abbiamo deciso di eliminare tutto quello che non si vende più perché è cambiato il mercato e abbiamo perciò scelto di abbandonare la merceria che serviva per le piccole sartorie ormai non più attive.
Come mai la scelta di dedicarsi alle riparazioni sartoriali?
«Abbiamo sempre operato in questo settore della riparazione ma abbiamo deciso proprio di puntare su questo che pensiamo possa contribuire al rilancio dell’attività».
C’é stato anche l’istinto oltre alla ragione dietro la scelta di rimanere aperti?
«La decisione di chiudere era in effetti una cosa molto sofferta, tantissimi clienti si sono dispiaciuti molto per questo. Ci siamo detti: “Cerchiamo di capire cosa non funziona in quest’attività e di potenziare ciò che sappiamo fare meglio e che poteva essere più gradito al mercato».
Operativamente come procederete?
«Venderemo tutto ciò che già trattavamo prima ma gradualmente elimineremo alcuni articoli desueti come l’intimo che non è un nostro settore specifico ed è abbastanza complicato da trattare. Gradualmente la passamaneria, appannaggio delle vecchie sartorie e ormai in disuso, scomparirà dai nostri scaffali e ci dedicheremo esclusivamente alle riparazioni sartoriali, un servizio di cui la gente ha bisogno e che spesso non si riesce a garantire facilmente».