Questa sera, alle ore 20,30 sul palcoscenico del Teatro San Demetrio, va in scena “Gli esami non finiscono mai”
“Mi sono scocciato di sottostare alla legge del vivere civile che t’assoggetta a pronunciare i “sì” senza convinzione quando i “no” salgono alla gola come tante bolle d’aria, quei “sì” estorti con la complicità del galateo, il quale poi, se ne lava le mani quando poi quel “sì”, per chi te l’ha estorto, diventa un impegno tassativo che devi mantenere a tutti i costi, se non vuoi passare alla storia come un fuorilegge”. Il titolo di quest’opera, che andrà in scena questa sera, alle 20,30 sul palcoscenico del Cinema Teatro San Demetrio, è entrato nel linguaggio comune, diventando un vero e proprio modo di dire, a testimonianza di quanto Eduardo sia entrato nel vissuto della gente. Il tema degli esami che non finiscono mai, per il protagonista della vicenda e per ciascuno di noi, è esemplificativo di una verità: l’intrusione costante del pregiudizio, della meschinità, del conformismo, dell’invidia, o soltanto di una curiosità morbosa, nell’esistenza altrui. Tema attualissimo questo, che la compagnia teatrale “Le voci di dentro” guidata dal regista ed attore Marco De Simone ha scelto di rappresentare, affidandosi al talento di Marco Reggiani, Paolo Belluccio, Valerio De Rosa, Antonio De Luca, Salvatore Ferraro, Maura Iademarco, Maria Teresa Stanzione, Antonio Bosco, Valeria Santoro, Simonetta Landi, Mariarosaria Milito, Ilaria De Gennaro, Tania Carusio, Matteo D’Agostino, Luca Vito e Roberta Greco, Rossella Cuccia, Francesco Casaburi, Rita Di Giacomo, Tommaso De Luca, Gianmaria Cibelli, Stefano Izzo, Alessandro Borgia, Clelia Olivieri, Vincenzo De Simone, Franco Cibelli. E’ l’ipocrisia con la sua maschera rappresentativa della società che l’autore vuole denunciare. Il rapporto finzione-realtà è indicato dai riferimenti amari che l’autore utilizza quando parla della “gente” che si intromette nella vita dell’individuo condizionandone l’esistenza con continui esami; “…abbiamo avuto paura della gente. La gente fa paura.”. Noi tutti possiamo riconoscerci in Guglielmo Speranza e nelle sue ansie di ricerca dell’autenticità: attenzione, quindi, agli esaminatori che si investono arbitrariamente di questo ruolo e che pensano di distribuire premi e punizioni. La lotta di Guglielmo Speranza consiste, quindi, non tanto nel superare le prove dell’esistenza, ma piuttosto nel difendersi dal meschino assalto della “gente”. Anche nel momento del funerale la “gente” vorrà esprimersi inseguendo ipocriti formalismi e l’ultima volontà del povero Guglielmo non verrà rispettata: “Quando sarò morto voglio essere trasportato nudo al cimitero, e nudo voglio essere sotterrato. Non facciamo che, approfittando del fatto che mi trovo nell’impossibilità di reagire, fate fare al mio corpo la stessa figura ridicola che faceva quello di mio suocero sul letto di morte, truccato e vestito da sera”. Per Eduardo siamo tutti sempre sul banco degli imputati e lo ha riaffermato attraverso questa vicenda che si svolge nell’arco di mezzo secolo, attraverso quelle infinite prove che il protagonista si trova a dover affrontare nel corso della sua vita, dal giorno della laurea fino alla morte. La commedia percorre così l’amara vicenda di un “uomo qualunque”, un’esistenza che dagli anni Venti agli anni Settanta, vede avvicendarsi un’ interminabile serie di esami, ai quali, alla fine il protagonista deciderà di rispondere con il silenzio, un “silenzio”, che qui ha un duplice significato quello di rappresentare la sordità del mondo e il distacco da esso che il personaggio avverte, quel silenzio scelto già dal puro folle, Zì Nicola, rotto solo da tracchi, girandole, fuja-fuja e sputazzate, sino al segnale di via libera verso l’Oltre, rappresentato dalla luce verde dell’ultimo bengala.