di Andrea Pellegrino
Posti di lavoro, contributi economici e case. Erano queste le richieste che i Marotta avanzavano al sindaco Adamo Coppola. In estate avevano perfino forzato la porta di accesso dell’ufficio del primo cittadino, pur di avere immediatamente un incontro con lui. L’ultima richiesta: «posti di lavoro fissi» per tutti componenti dell’organizzazione. In caso contrario, il gruppo si sarebbe «regolato di conseguenza», con tanto di avvertimento: «Noi siamo tanti». Venticinque sono le persone finite nei guai, ieri mattina, appartenenti agli storici gruppi rom dei Marotta e Cesarulo di Agropoli. Undici sono finiti in carcere; 7 agli arresti domiciliari ed altrettanti sono stati raggiunti dall’obbligo di dimora. Una vera e propria organizzazione criminale, su cui pende anche l’aggravante mafiosa, che voleva anche entrare nelle istituzioni locali. In precedenza, un’interlocuzione c’era stata con l’ex sindaco Franco Alfieri, oggi a capo della segreteria politica del presidente della giunta regionale. Tant’è che Alfieri era finito dritto sul registro degli indagati per presunti favori concessi proprio ai Marotta. Case, innanzitutto. Quelle confiscate ma mai utilizzate dal Comune. Anzi, alcune di esse rimaste nella disponibilità proprio dei Marotta che sono stati ritrovati, all’alba di ieri, dai carabinieri, nelle loro rispettive abitazioni ad Agropoli. Franco Alfieri, proprio per quelle abitazioni confiscate, era stato anche condannato dalla Corte dei Conti. Quarantamila euro per l’ex sindaco e per i componenti dell’ex giunta e dirigenti comunali per il mancato utilizzo di tre appartamenti e due locali finiti, nel 2003, nella disponibilità del Comune di Agropoli. Stavolta il successore di Alfieri avrebbe messo il tutto nero su bianco e allertato i carabinieri della locale compagnia. «L’accaduto ha messo in rilievo il grave stato di tensione che sta agitando la comunità rom di Agropoli ed ha allo stesso tempo confermato la notevole propensione di alcuni esponenti di tale comunità ad assumere comportamenti violenti e so
praffattivi, suscettibili di patenti ripercussioni sull’ordine pubblico e la sicurezza in generale». Da qui l’accelerazione della complessa indagine e dei provvedimenti cautelari, richiesti ed ottenuti dal pm titolare dell’inchiesta Marco Colamonici, notificati ieri mattina ai 25 indagati. Minacce ed intimidazioni che erano arrivate anche a Cosimo Sgroia, coordinatore delle attività di raccolta dei rifiuti per conto della Yele spa e poi della Sarim. La richiesta era sempre la stessa: posti di lavoro per i componenti del clan o orari flessibili per coloro che erano riusciti ad entrare nella cooperativa. Ma la banda (che si riforniva attraverso furti in gioiellerie locali e sul territorio nazionale) non si ferma neppure davanti all’Arma dei carabinieri. Alcuni militari, infatti, sarebbero stati minacciati per la loro attività investigativa nei confronti dei Marotta. Dalle carte del Gip Gennaro Mastrangelo si leggono le minacce che ‘O Capone (Antonio Dolce) aveva riservato ad un maresciallo, ad un brigadiere e ad un suo vice: «Finitela un poco, vedete la vita è breve, si muore, cercate di fare il bravo ogni tanto», presagendo poi una vera e propria guerra, fino ad allora bloccata “grazie all’intervento degli adulti della loro comunità”. I furti: l’affare principale del sodalizio. Nel 2007 è un collaboratore di giustizia a raccontare il sistema delle famiglie rom di Agropoli. Di mira le gioiellerie sparse in tutta Italia. Qui il modus operandi era sempre lo stesso: dapprima si presentavano quali clienti delle gioiellerie – spendendo cifre ragguardevoli – per poi approfittare della fiducia carpita ed effettuare i furti. Anche la spartizione del bottino avveniva con un criterio ben preciso che rispettava la scala gerarchica. Due gruppi, nell’ambito della stessa famiglia, individuati dagli inquirenti: il primo facente capo a Fiore Marotta, il secondo al figlio Vito. In alcuni casi in concorrenza anche tra di loro, soprattutto nei colpi al nord Italia. «Una spiccata propensione all’intimidazione nei confronti della popolazione locale e spregio nei confronti dell’autorità costituita» – afferma il procuratore della Repubblica vicario, Luca Masini che ha determinato, negli anni, un potere complessivo che ha notevolmente inciso sul tessuto sociale agropolese. Ed è la prima volta, così come sostenuto dal comandante del Ros, Giancarlo Santagata che «viene contestata ad una comunità rom italiana l’aggravante del metodo mafioso».