In processione santi e non guitti - Le Cronache
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In processione santi e non guitti

In processione santi e non guitti

di don Aniello Manganiello*

Ha ragione l’arcivescovo di Salerno, la pietà popolare va evangelizzata.È un messaggio forte, il suo, che interviene su un punto fondamentale: la fede, quella autentica e matura, non ha nulla in comune con malinconiche ritualità paganeggianti, che continuano a svuotare le manifestazioni religiose dei loro significati più profondi e, in alcuni territori di confine, hanno addirittura consegnato le feste patronali alla gestione della camorra.Non sarà il caso di Salerno, ma nella mia terra, che è l’Agro Nolano, assistiamo, in occasione di tali feste che cavalcano l’onda emotiva di una religiosità deformata , alle strategie di una criminalità spavalda intenta a raccogliere il consenso di una cittadinanza in parte ridotta in schiavitù. È una cittadinanza stanca, demotivata, inconsapevole, che si inchina al potente di turno esibendo santi-feticcio piegati anch’essi all’inchino davanti alle abitazioni del boss.Proprio un anno fa, di questi tempi, dopo la mia durissima campagna dell’estate contro i Gigli di Nola, definita dalla stampa nazionale “l’anatema di don Aniello” – campagna di sensibilizzazione, nata sul blog I Confronti di Andrea Manzi e amplificata, qualche giorno dopo, da Gianantonio Stella sul Corriere della Sera, con una pagina intera dedicata alla nostra iniziativa – , proprio un anno fa, dicevo, dopo le aggressioni dialettiche subite da sindaci e ambienti ambigui di quella terra, la magistratura accertò che, dietro il paravento delle offerte per le paranze c’erano, in effetti, le richieste estorsive della camorra. Si verificò, in particolare, il sequestro del Giglio “L’Insuperabile”, del clan Cuccaro che è egemone a Barra. Il Giglio fu sequestrato e distrutto sul posto, durante la festa del 23 settembre, per ordine della magistratura. Quell’episodio lasciò emergere il profondo disprezzo per la legalità (prima ancora della religiosità) di una vasta popolazione sedotta dall’anti Stato. D’altra parte, se la camorra si insinua in tutte le attività economiche perché mai dovrebbe lasciare immuni le cosiddette feste religiose? Addirittura, molte di quelle feste, dalle mie parti, sono l’occasione più ghiotta per siglare nuove alleanze tra clan e boss emergenti.

I miei sono territori di frontiera e, quindi, non è assolutamente il caso di tentare improbabili paragoni tra Scampia, il Nolano, Casal di Principe e la più tranquilla Salerno. L’elemento che accomuna, però, tutte le manifestazioni di ipocrita fede è il “barocchismo religioso”, che si unisce al silenzio assordante delle gerarchie della Chiesa, che spesso dimentica un’adeguata e attesa pastorale per gli ultimi. È tardata da parte della Chiesa una strategia di verità su questi temi e il ritardo è stato spesso insopportabile ed ha favorito l’illegalità e il malcostume.

Nell’estate 2011, quando dissi chiaro e tondo che queste feste servono alla camorra e al cattivo gusto, non certo alla Chiesa e alla fede, vi furono reazioni diverse anche tra i vescovi e i confratelli. Si disse che facevo di tutta l’erba un fascio, che le mie accuse ricadevano ingenerosamente su un intero popolo (quello di Nola, che è poi il mio popolo, la mia amata terra). Ho sofferto molto in quei giorni, io chiedevo soltanto di purificare la religiosità da irritanti ritualità. Chiedevo alla Chiesa di dire da che parte stava. E il territorio sul quale la Chiesa deve stare è quello degli ultimi e della verità, ma spesso lo abbiamo dimenticato. Dopo un anno circa, in seguito ad alcune operazioni della polizia che confermavano le mie analisi e riabilitavano c i miei sospetti fondati, la Conferenza episcopale campana riunita a Montevergine, sotto la presidenza del cardinale Sepe, riconosceva la delicatezza dell’argomento e confermava gran parte delle mie tesi. Si formulava una differenza, in quella Conferenza, tra le antiche manifestazioni di pietà popolare e altre feste che nulla hanno di religioso, non sono riferibili all’autorità ecclesiastica, ma attengono ad appositi comitati e fondano su consuetudini locali, folcloristiche o turistiche. Da allora si attendeva una discesa in campo dei vescovi per regolamentare lo svolgimento delle solennità religiose a carattere popolare. Ma anche questa attesa è stata lunghissima.L’arcivescovo di Salerno, che già in maniera molto delicata aveva manifestato mesi fa il suo disappunto per pratiche spettacolari che offendono la religiosità autentica, non si è fermato e con l’annuncio della regolamentazione delle feste nella sua diocesi ha dato un contributo di chiarezza e si è posto al servizio della verità. Monsignor Moretti tenta così di recuperare, per le processioni, la vocazione del popolo di Dio a pellegrinare nel tempo verso l’eternità e la casa del Padre. Le processioni e i pellegrinaggi hanno soprattutto questo valore. Poi esprimono pubblicamente il primato di Dio nella vita del cristiano. Sono occasioni per pregare in maniera comunitaria, come popolo di Dio. Giusto allora l’intervento di questo coraggioso e deciso vescovo, che punta a spogliare queste espressioni della fede da tutto ciò che è paganesimo, è superficialità, è dissacrazione, è simonia, è offesa a Dio.Anche nel Salernitano, infatti, vi è stata una degenerazione evidente delle pratiche di pietà. Le feste hanno offerto palcoscenici a potenti di zone calde e “sensibili” ed hanno fornito la ribalta a politici guitti che, davvero come gli “onorati” devoti di Santa Rosalia, si nascondono dietro i santi per verificare la loro presunta onnipotenza. Ma camorristi e politici performer lascino in pace perlomeno i santi.

* fondatore dell’Associazione Ultimi per la legalità e contro le mafie