di Marina Pellegrino
L’ Accademia di Santa Cecilia, di Roma con la Sinfonia n.2 per pianoforte solo e orchestra denominata “The Age of Anxiety”, ha dato ufficialmente inizio ai concerti in onore di Leonard Bernstein, celebre direttore d’orchestra, pianista e compositore statunitense, di origine polacca, di cui si celebrano quest’anno i cento anni dalla nascita. Un concerto interamente dedicato alle musiche del direttore ballerino, che ha visto esibirsi la giovane pianista pugliese Beatrice Rana, con l’orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Brano di una struttura musicale dettagliatissima, “The Age of Anxiety”, ovvero L’età dell’Ansia, è una composizione ispirata dall’omonimo poema di Wystan Hugh Auden, scritto nel 1948, rappresentazione di una conversazione tra quattro sconosciuti, ritrovatisi a parlare in un bar, della guerra, di paura, tristi consapevolezze condite da un po’ di speranza, una luce, che grazie alla fede, farà ritrovar loro il senso della vita. Parole, sensazioni e momenti contrastanti messi in musica dalla sapiente mano di Bernstein, il quale è riuscito a racchiudere tutto in sei momenti, ovvero The Prologue, The Seven Ages, The Seven Stages, The Dirge, The Masque e The Epilogue. Il Prologo, aperto da un duetto di clarinetti, subito affiancati da due flauti, sorretti da sole note lunghe degli archi bassi, non è altro che la rappresentazione dei quattro personaggi del poema, che parlando si ritrovano in un discorso comune, musicalmente lamentoso e mesto. Questo dialogo tra i quattro strumenti a fiato è introduzione de The Seven Ages, composti da sette variazioni, nei quali il pianoforte muterà costantemente di sonorità e approccio ritmico. Da una prima breve variazione affidata al pianoforte solo, quasi luminosa e rassicurante, l’incalzante tremolo dei violoncelli, decorato da arpeggi di un’arpa, acuta ed inquieta, apre le porte ad un clima tetro e profondo, caratterizzato da armonie scure ed accompagnamenti in registro basso, che solo dopo l’assolo del violino, introduzione della quarta variazione de The Seven Ages, si trasformerà ritmicamente e timbricamente, attraverso figure musicali più piccole, da eseguire accentante e in staccato. Nonostante il cambiamento della scrittura, il carattere rimane inquieto, dove xilofono, percussioni e trombe si rincorrono, per sfociare in una quinta variazione di impronta virtuosistica, pentagramma questo paragonabile ad una vera e propria musica da film, dove è possibile immaginare i personaggi sopraffatti dalla paura e dal tormento, in fuga dai loro stessi pensieri, che bruscamente si schiantano in un recitativo stretto del pianoforte della variazione sei. Il senso dell’ansia ritorna dunque totalmente presente, ancora una volta preludio del terzo momento della sinfonia, the Seven Stages, presentati da una marcia pesante, diretta verso l’oscurità, verso la morte. La sinfonia continua con il susseguirsi di altre sette variazioni, in pieno stile shostakovichiano, quindi ricche di sbalzi timbrici e ritmici, impreziosite da frenetiche note ribattute, forti squilli di tromba e veloci figurazioni affidate ai fiati. Il vero momento enigmatico della sinfonia è di certo il The Dirge, dove il pianoforte, in diretto dialogo con l’orchestra, fa continue domande attraverso cadenze, volatine, recitativi, veloci salti timbrici ed irrequieti contrasti armonici, alle quali l’orchestra risponde in modo perentorio, sempre in forte, inesorabile e severa, segno di decisione, rappresentazione delle sciagure della guerra. Di carattere totalmente opposto è The Masque, in stile jazz, dove il pianoforte si diverte attraverso ritmi puntati e spostati, quasi giocosi, frenetici e leggeri, ma armonicamente sempre duri e dissonanti. L’Epilogo è di certo il momento più intenso della sinfonia, dove l’ansia sembra finalmente distendersi, e il senso della vita piano piano nasce da una melodia malinconica eseguita dal pianoforte, che prende sempre più consapevolezza timbrica e ritmica, fino ad arrivare ad una cadenza sul tema, intensa e commovente. L’orchestra sboccia da queste note della tastiera in modo grandioso, e tutte le sezioni strumentali si dirigono in un glorioso Do diesis maggiore finale, insistente, energico, con timpani, campane, ottoni ed archi, la forte luce della fede, come scrive Auden nelle ultime righe del suo poema, che darà senso alle nostre vite.