Wagner, Rossini e Beethoven per il concerto all’alba del Ravello Festival, con l’ Orchestra Filarmonica Salernitana diretta da Oleg Caetani
Di OLGA CHIEFFI
“Stanotte è la notte di San Lorenzo, amore mio. E devono cadere le stelle. Da noi, qui in Toscana, si dice che ogni stella che cade esaudisce un desiderio. Aspetta, ‘un dormire. Sai quale è il mio desiderio stanotte?” E’ il giorno del concerto all’alba del LXV Festival di Ravello, in quella Notte di San Lorenzo che ci ha ricordato l’incipit del film omonimo dei fratelli Taviani, in cui la rassegna omaggia il sole regalando un momento d’intensa emozione a pubblico e strumentisti. Sul podio del Ravello Festival ci sarà Oleg Caetani a guidare l’Orchestra Filarmonica Salernitana “G.Verdi”, che si cimenterà con Wagner, Rossini e Beethoven. Ad inaugurare il concerto, alle ore 4,45, il Siegfrieds Rheinfhart, l’intermezzo sinfonico che unisce il prologo al primo atto del Gotterdammerung. Siegfried, pur pago dell’amore della Walkiria, anela a nuove imprese: l’eroe regala alla donna l’anello, la donna all’eroe il cavallo Grane. Sigfrido scende dall’altura dando gioiosamente fiato al suo corno, mentre Brunilde, seguendolo con l’animo in tumulto, gli manda dall’alto gli ultimi addii. “L’orchestra raccoglie il motivo del corno e lo sviluppa in un pezzo poderoso”, così indica la didascalia wagneriana. E di pezzo poderoso, scintillante e brillantissimo, veramente si tratta, i motivi metafisici e morali, cosmici e umani che reggono l’intero ciclo, qui accoppiandosi ai colori e alle atmosfere di un paesaggio mitico, nel segno di un idealizzato “Sentimental Journey” alla ricerca del proprio destino. Seguirà, l’esecuzione dell’Ouverture del Guglielmo Tell di Gioacchino Rossini, che si sviluppa in quattro movimenti, strettamente uniti tra loro da una coerente logica narrativa. Il primo tempo, Andante, racconta la penosa situazione degli oppressi. La melodia, cantata con voce quasi umana dal violoncello, fa vibrare un anelito sconsolato a una vita migliore. Il secondo movimento, Allegro, descrive un violento temporale alpino. Nel terzo movimento, Andante, le melodie pastorali illustrano la quieta pace degli alpeggi. Rossini qui si è ispirato ai canti dei mandriani, Ranze del Vaches, intonati dalle cornamuse, affidando una suadente melodia all’oboe, finchè una squillante fanfara introduce la parte finale della Sinfonia, con l’attacco dell’irruento Allegro vivace, che ci travolgerà con il suo Galop irrefrenabile, impetuoso e liberatorio.
La seconda parte del programma verrà interamente dedicata all’esecuzione della V sinfonia di Beethoven. È un Beethoven titanico, quello della Quinta. Ma è anche un Beethoven più asciutto e meno enfatico rispetto a quello dell’Eroica. La forma stessa è essenziale, senza espansioni retoriche, la coerenza interna rigorosa. I temi sono netti e concisi, come lo scarno inciso d’apertura, un motto di sole quattro note. Così si apre il primo movimento, l’Allegro con brio. Ancora sull’inciso “del destino” è fondato il primo tema, che percorre interamente la Sinfonia rendendola ulteriormente più solida ed unitaria. Proprio a questa estrema concentrazione tematica, a questa sobrietà di caratteri va ricondotta la grande efficacia espressiva che la Sinfonia in do minore esprime. Il primo tempo è forse la più perfetta applicazione della valenza tragica della tonalità di do minore, e della dialettica beethoveniana, basata sul contrasto di due idee, una veemente e una implorante; ma questa perfezione è dovuta innanzitutto alla configurazione icastica del tema – i celebri “tre più uno” colpi iniziali, esposti all’unisono – poi a una tecnica di elaborazione che fa percepire ogni dettaglio come logicamente consequenziale, necessario e imprescindibile; la seconda idea è solo un diversivo, nel fitto reticolato dell’elaborazione, che viene tuttavia interrotta da improvvisi silenzi e singole voci strumentali, dalla valenza angosciante ed interrogativa. In questo contesto l’Andante con moto, in la bemolle maggiore, non ha la semplice funzione di stemperare la tensione, ma piuttosto di mantenerla sempre sottesa. Con lo Scherzo si torna non solo alla tonalità minore iniziale, ma anche al medesimo inciso tematico, solo variato ritmicamente: da una parte, infatti, il “motto” iniziale acquista, nella riproposizione, una valenza fatalistica, dall’altra parte il movimento sembra spegnersi nel nulla, con il “motto” sussurrato dai timpani, e sfocia invece in un episodio di transizione, che congiunge direttamente i due ultimi tempi, attraverso un calibratissimo ed entusiasmante crescendo. Si approda dunque, col Finale, alla risoluzione di tutti i conflitti esposti, con una trionfale fanfara che è in realtà la conversione ottimistica dell’idea iniziale.