di Olga Chieffi
“…suonare il pianoforte è forse normale? E’ uno stato emotivo fuori dalla norma, collegato con un tremito delle articolazioni delle mani e dei piedi”.
E’ questa l’immagine del pianista che ci offre Robert Musil nel suo capolavoro incompiuto “L’uomo senza qualità”, un’emozione accesa dal pianoforte, grazie alle sue infinite possibilità, alle creazioni dei massimi compositori e non ultime alle “mani” d’innumerevoli interpreti che hanno reso immortale e popolare la letteratura dedicata a questo strumento.
La performance di Marina Pellegrino, giovane pianista vietrese, che ha inteso cimentarsi dinanzi al suo pubblico con il grande repertorio da concerto, ci ha ricordato nel suo modo di assidersi alla tastiera, lo scrittore austriaco.
Un’ora e mezza di musica, donata al settimo appuntamento della seconda edizione di “Estate Classica”, ospite dell’ Arciconfraternita della SS.Annunziata e del S.Rosario, organizzata dalla pianista Nella Pinto e da Guido Mastroianni, in cui Marina ha spaziato da “Tristesse” di Chopin alla sonata op.110 di Beethoven, per poi passare al Prokofiev dell’op.14 e chiudere con il mare oscuro della ballata in Si di Liszt.
La Pellegrino ha inteso, nella sua interpretazione del terzo studio dell’op.10, affermare alcuni aspetti del linguaggio pianistico chopiniano, quale il “preimpressionismo”, una radice poetica che sarebbe divenuta dominante solo più tardi, andando a ricercare quei timbri in pagine scritte per aprire nuovi spazi alla tecnica pianistica, ma che hanno inaugurato, invece, un capitolo meraviglioso della storia dell’arte, permettendo al suono del pianoforte di diventare evocativo non solo della vocalità, cara alla nostra giovane pianista, ma anche dei rumori della natura.
Le pagine, della sonata op.110 di Ludwig an Beethoven quelle beetoveniane, sono state affrontate con intelligenza e disinvoltura: gradevolezza, candore melodico, fantasia e la chiave per eseguire questa sonata ovvero, la ricerca sulle combinazioni timbriche, trasfigurazione, si sa che ha importanza crescente nella lettura dell’opera del genio tedesco, con il procedere degli anni.
Ogni dinamica, ogni scelta di tempo ha avuto un suo senso in quanto calibratissima conseguenza di tutto ciò che precede e segue, ovvero dell’organismo dell’intera opera.
Pagina clou del programma certamente la sonata n°2, in re op.14, di Sergej Prokofiev, un’opera che passa dalla sapienza contrappuntistica e scrittura pianistica di una chiarezza abbagliante, al grottesco-macabro che esplode nello scherzo in la, feroce nella prima e terza parte, derisorio in quella centrale, sino al terzo movimento in sol diesis, ipocondriaco, evocante quasi il Vecchio Castello mussorgskiano, sfociante nel terrificante suono di campana, in un episodio indicato come giocoso.
Dal suono violentissimo “brutto”, penetrato con giusto piglio da Marina, al finale caratterizzato dalla crudeltà poetica del genio russo, con i suoi virtuosismi contrappuntistici.
La pianista non si è legata al languore prokofieviano, che pure s’intravvede, ha inchiodato la dinamica al metronomo, togliendo giustamente ogni margine sentimentale alla sonata, duro, incattivito straziante, il suo racconto di morte, ferrigno, come si deve.
Miracolo d’equilibrio attuato, invece, in Ero e Leandro, la celebre ballata di Franz Liszt, che ha chiuso il programma, tra l’unità spirituale del tutto e l’evidenza, in Marina, massima, delle diversità su cui essa regge.
Non solo delicatezze infinite, ma anche veri struggimenti decadenti vengono ad umanizzare il gesto dell’esibizione o qualsiasi velleità eroica, trasformandoli in tensione appassionata che non concede un attimo di tregua. Applausi e richieste di bis, tra cui la “Marcia alla Turca”, cui la pupilla di Michele Campanella ha glissato elegantemente, proponendo lo Scherzo di Felix Mendelssohn op.16 n°2.
Un tuffo totale nell’irrazionalità-razionale questa fase “work in progress” del pianismo della Pellegrino, che sembra rincorrere a volte, pericolosamente, un’idea di teatro: la musica sa essere deformante, corrosiva, sbeffeggiante, attenzione a questo potente demone, avvertiva Platone, che per qualche, attimo potrebbe trasformarsi in un ghigno e governare le menti!