Di Olga Chieffi
Ieri mattina, negli spazi del Teatro Verdi di Salerno, il direttore del Conservatorio “G.Martucci” di Salerno, Fulvio Artiano, unitamente al direttivo del massimo cittadino, rappresentato da Antonio Marzullo e al regista Riccardo Canessa, ha presentato l’opera scelta per inaugurare in bellezza l’anno accademico e rinnovare la tradizione di rappresentare un’opera lirica nel teatro della città, ponendo sullo stesso palcoscenico, ovvero sullo stesso piano, grandi nomi del gotha della musica internazionale e quanti promettono di raggiungerlo. Un titolo quello scelto quest’anno certamente non “scolastico”, e di raro ascolto che ha posto a dura prova gli allievi che hanno provato agli ordini dei docenti coordinatori, Raffaele “Lello” D’Andria per gli archi e Gaetano Falzarano per i fiati, oltre le voci con Francesco Aliberti direttore di coro sia in teatro che docente di esercitazioni corali al Martucci, che vedremo anche imperversare in palcoscenico. Fulvio Artiano ha schizzato un Conservatorio lanciatissimo in Erasmus e in certa internazionalizzazione, con una miriade di progetti e bandi a cui rispondere e vincere, per ricevere fondi, sollecitazioni di tutti i tipi, tanto lavoro, e con questa opera che si aggiunge ad un palmares ben pregno di performance e trasferte in tutta Europa, in una totale frenesia espressiva, che ebbe inizio con il compianto Fulvio Maffia e il suo docente di esercitazioni orchestrali, Maestro Jacopo Sipari di Pescasseroli. Si dice che ad ogni Capodanno il Rosh Hashanah, che il suo Iddio mandasse in terra, il Rabbi Pinhas di Korez, andasse ripetendo ai suoi adepti essere cosa giusta e saggia giudicare ogni tanto, a ogni primo dell’anno, per esempio, o in altre, altrettanto forti ricorrenze, quanto fosse opportuno decidere di conservare o meno, metter via o meno, rompere o meno, “i vecchi leggii”. Nino Rota con il suo Cappello di Paglia, attraverso cui il regista Riccardo Canessa, che lo ha conosciuto appena diciottenne, al San Carlo, ove si rappresentava il suo Torquemada, li ha inceneriti, prendendosi la sua personale vendetta sia sulle false Semiramidi detrattrici quanto alle sue non meno false Semiramidi apologetiche, impegnate qua a censurare, là a esaltare, la sua inattualità, la sua supposta inclinazione a scostare, a negare la Storia, o a fottersene della Storia, attraverso il suo fanciullesco cinismo “attardato”. Questa opera, che offre finalmente fiducia e dignità al pubblico del Teatro Verdi, il quale verrà posto, davanti al “nuovo”, portato per mano dalle “mescolanze” di questo turbinoso affresco delle disavventure di un personaggio (il povero Fadinard) coinvolto suo malgrado in una serie di malintesi e piccole disgrazie, che par voler simboleggiare un po’ la quotidiana realtà della frenetica vita piccolo borghese, alla ricerca continua di un qualcosa di apparentemente irraggiungibile, che poi si scopre essere sempre stato lì, a portata di mano e sotto i propri occhi, è una vera e propria resa dei conti impegnativa e “perturbante”, intrapresa da Rota, nei confronti della ingombrantissima eredità, coatta e irriducibile, del melodramma ottocentesco, una specie di autoinfezione, forse vaccinante, con cui predispone un attacco concreto alle oggettive reali barbe di radice e di radici delle tradizioni disepitelizzate, rintracciando spunti, tali bribes, frugando nella torba dei terreni di coltura di ogni abitudine, anche la più corriva (abitudini vuoi di orecchiamento, vuoi di languorosa pigrizia concettuale-formale, vuoi di insidioso piacere del feticcio). E’ questo un laborioso rovistamento che Nino Rota attua per portare alla coscienza, al fine di disabilitarli, i radicamenti più residui sia di una storia personale, un’autobiografia intellettuale, una profonda intimità di rapporti anche fisici con la musica connaturatamene esperita: si pensi a quanti suoi anche celeberrimi pezzi, conclamatissimi exploits di spegnimento di memorie nell’amarcord più straziante, sono, anche abbastanza evidentemente, delle memorie, simboliche ma anche materiali, nostalgiche ma anche nauseate, di strutture infinitamente reiterate di studi, studi ed esercizi elementari, facili medi, trascendentali, che di una storia collettiva, inconclusa e facile alle ricadute e alle rigermogliazioni (intendiamo, senza troppo nominarli, i reperti testimoniali di quella decadenza mortale ma giammai morta, agglutinata in miriadi di spore umide e sempre proliferanti, classiche, romantiche, classico-romantiche, neo-classiche, neo-classico-romantiche, eccetera, che è la cifra perturbantemente immanente alla cultura europea del coagulo di piccole, medie e anche alte borghesie incrogiolate nelle ribolliture fredde o tiepide del secolo passato). Siamo nel campo di Riccardo Canessa in questo Cappello di Paglia di Firenze, per il quale non tradirà la sua ascendenza napoletana e anche familiare, che sposa bene la sottile ironia da napoletano nobile, quale è e che ritrova nel basso-bariton Carlo Lepore, il quale si è complimentato coi maestri del Martucci per la professionalità degli allievi, il quale debutta il ruolo di Beaupertuis, dopo aver sempre cantato quello di Nonancourt, al quale darà voce un altro baritono di razza Nicola Ulivieri. Negli spettacoli serali la Baronessa di Champigny avrà la voce di Sonia Ganassi, che ricordiamo splendida Adalgisa qualche tempo fa nel nostro teatro, mentre il ruolo di Fadinard è stato affidato al tenore Pierluigi D’Aloia. Maria Sardaryan sarà invece Elena, con Francesca Siani nel ruolo di Anaide, e ancora, lo zio Vezinet, Vincenzo Tremante, una modista, Margherita Rispoli, Felice e Achille, Luca Venditto, un caporale delle guardie, Rosario Caramico, una guardia, Paolo Affilastro e Minardi, Marco Melillo. Questo il cast del serale ovvero del 6 e dell’8 dicembre, ma i matinée per le scuole erano già iniziati ieri e con questi si procederà sino a domani, stavolta con gli allievi del conservatorio e Vincenzo Tremante, nel ruolo di Fadinard, Rino Califano in quello di Nonancourt, Miriam Tufano nei panni della Baronessa di Champigny, Laura Fortino in quella di Elena, e Antonio De Rosa che sarà Beaupertuis. Nel ruolo di Anaide troveremo Daniela Magnotta, Emilio sarà Yaosen Huang Ruggero, mentre lo zio Vezinet avrà il sembiante di Ellanz Miglino. A completare il cast Francescanthea Cristillo e Francesca Chiappetta, le modiste, Andrea Barletta impersonerà sia Felice che Achille, Rosario Caramico darà voce ad un caporale delle guardie, mentre Paolo Affilastro sarà una guardia e Marco Melillo, Minardi. L’inaugurazione dell’anno accademico, prevista per il 7 dicembre, prevede il vero dialogo tra “cantéra” e professionisti, quando Pierluigi D’Aloia e Nicola Ulivieri avranno quali Baronessa ed Elena Miriam Tufano e Laura Fortino. Un gravoso lavoro questo per il direttore d’orchestra Francesco Rosa che, siamo certi, saprà offrire un’articolazione fresca e spigliata del materiale sonoro, tra spunti sentimentali e briosi, tra musical, e schemi formali del teatro d’una volta, tra il retaggio di Cimarosa e quello di Rossini, quanto la regia “mediterranea” di Riccardo Canessa.





