Questa sera, alle ore 20, riflettori sui dodici violoncelli della celebre formazione che spazierà da Jean Francaix al tango
Di OLGA CHIEFFI
Ludwig Quandt, Bruno Delepelaire, Dietmar Schwalke, Nikolaus Römisch, David Riniker, Martin Menking, Christoph Igelbrink, Rachel Helleur, Olaf Maninger, Martin Löhr, Knut Weber, Rouven Schirmer, i dodici violoncelli dei Berliner Philarmoniker, offriranno il loro Incanto al pubblico della LXIII edizione del Ravello Festival. Dopo la danza, la sezione sinfonica e il canto extra-colto, tocca alla musica da camera, stasera alle ore 20 inaugurare il proprio percorso. Stefano Valanzuolo si è affidato ai celli dei Berliner. E’ vanto delle massime orchestre creare il maggior numero possibile di gruppi da camera utilizzando i musicisti del proprio organico. L’indimenticato Herbert von Karajan stimolava ininterrottamente i suoi musicisti in questo senso. Essi devono imparare ad ascoltarsi a vicenda, devono comunicare musicalmente nel più piccolo e amichevole dei cerchi, per poi affiatarsi nella grande famiglia musicale che un’orchestra è. La serata verrà aperta da un pezzo che è diventato, nel tempo, quasi un biglietto da visita del formidabile ensemble. Il compositore francese Jean Francaix, infatti, fu tra i primi ad essere stimolato dal prestigio e dalla classe dei 12 quando, nel 1974, scrisse “Aubade”, brano dalla fresca e comunicativa invenzione timbrica, dedicato a questo complesso. Si continua con la scuola francese stavolta di Gabriel Fauré, con due brani trascritti da David Riniker, uno dei fondatori dell’ensemble. La prima è la Berceuse, tratta dall’unica composizione per quattro mani del compositore francese, Dolly, un esempio riuscito di genuina spontaneità: come è testimoniato dal suo orizzonte ispiratore, quello delle piccole cose di un mondo infantile fatto di sogni, di sincere emozioni, di gioie semplici, però descritte con una grazia e una semplicità che non cedono mai al sentimentalismo affettato. Ecco così la dolcissima Berceuse, col titolo sul manoscritto “ a Dolly Bardac / Berceuse / Gabriel Fauré”, composta in occasione del primo compleanno di Dolly, il 20 giugno 1893. La berceuse farà coppia con la suadente Sicilienne op.78, una melodia fluida, quasi ipnotica, si dipana creando un’atmosfera malinconica; è musica nostalgica per eccellenza, fortemente evocativa, che sembra rinviare a una Sicilia solamente sognata, un luogo indefinito e immaginario. La formazione, proporrà, poi, la prima Bachiana Brasileira composta dal brasiliano Heitor Villa-Lobos. L’organico per cui è stata scritta questa pagina è proprio un’orchestra di violoncelli, una sorta di ideale tributo, in apertura della serie, allo strumento favorito del compositore carioca, di cui sfrutta con sapienza le possibilità armoniche. La partitura venne completata nel 1930 ma il primo movimento fu aggiunto soltanto otto anni dopo. Magnifico esempio di equilibrio tra ricchezza armonica, uso del contrappunto e felicità di invenzione melodica, l’Introduzione (Embolada) si struttura come una Toccata, che trae ispirazione nelle sue linee melodiche da un motivo della tradizione del nordest. Il successivo Preludio (Modinha) si incentra invece su una canzone popolare di argomento amoroso, il cui incedere dolce ed aggraziato richiama in maniera evidente i movimenti lenti dei Concerti di Bach. Il brano si chiude con una Fuga (Conversa), anch’essa rivisitata alla luce della tradizione popolare, con un gioco musicale che sembra replicare le improvvisazioni tipiche dei musicisti di strada, una pratica che aveva accompagnato l’infanzia e l’adolescenza di Villa-Lobos a Rio de Janerio. La mano di Riniker, impugna ancora penna e archetto per farci ascoltare un lied di Antonin Dvoràk “Lasst mich allein” (Lasciami solo), uno dei quattro Lieder dell’op.82, pubblicata nel 1888, opera che ha ispirato la melodia dell’Adagio ma non troppo del concerto per violoncello op.104, in una atmosfera di pacata conversazione che intesse un dialogo privilegiato tra i vari cellisti, prima di omaggiare il Bizet di “Les Pêcheurs de Perles”, con la celebre aria di Nadir, “Je crois entendre ancore” di un lirismo così intenso e profondo, che caratterizza per intero il personaggio. Finale in danza con il Waltz di Dmitrij Shostakovich, dalla Jazz Suite n.2, che ci catapulterà nel mondo dell’orchestrina, con le ancheggianti armonie e l’insinuante tema carico d’ironia, nella sua visione disincantata e spietatamente critica, unitamente ad un vero e proprio saggio sul tango, quella perturbante e sensuale danza d’amore che alterna tensioni e distensioni; perturbante come è tutto ciò che rimanda a pulsioni ancestrali rimosse nell’Es, pur tuttavia presenti nell’inconscio collettivo, una delle condizioni più stranulate e poetiche della cultura latinoamericana, affidata ad una triade reale formata da Astor Piazzolla, Horacio Salgan e Josè Carli, della cultura dell’esilio in genere, della cultura pronta a nuove ibridazioni e acclimatazioni, che si è addentrata ormai in chissà quali sobborghi della nostra anima.