Morto Sisinni, l’inventore dei Beni culturali. - Le Cronache Ultimora
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Morto Sisinni, l’inventore dei Beni culturali.

Morto Sisinni, l’inventore dei Beni culturali.

E’ morto a 91 anni nella sua Maratea l’8 settembre scorso Francesco Sisinni, direttore generale per un ventennio.del Ministero dei Beni Culturali (l’attuale MIBACT). Sarebbe in ogni caso riduttivo soffermarsi sulla sola carica di alto funzionario dello Stato, se si considera che di quel Ministero Francesco Sisinni è stato l’inventore e il materiale realizzatore. E tutto ciò in tandem con un’altra figura storica di quella che viene definita “Prima Repubblica”, Giovanni Spadolini, esponente di spicco della cultura laica, primo Presidente del Consiglio non democristiano in un contesto in cui a presiedere il governo era destinato un membro del partito di maggioranza relativa. Francesco Sisinni, a seguito di un “cursus honorumche lo aveva già annoverato tra le figure apicali del Ministero della Pubblica Istruzione e degli Affari Esteri, nel 1974 si lanciava nell’avventura di dare forma e contenuto ad un dicastero che avesse per suo oggetto esclusivo la tutela e la valorizzazione del patrimonio artistico e culturale della Nazione italiana. Anche se non mancavano leggi a difesa di quel patrimonio (tra le altre la legge “fascista” n. 1089 del 1939, divenuta riferimento imprescindibile anche per l’attuale Codice dei Beni culturali, varato nel 2004), il fatto che si accentrasse in capo ad un unico soggetto amministrativo la direzione politica della salvaguardia dei beni culturali dava pratica attuazione ad uno dei principi fondamentali della Costituzione contenuto nell’articolo 9 in tema di tutela del “paesaggio, del patrimonio storico e artistico della Nazione”.

Alla realizzazione dell’impresa della nascita ex novo di un ministero pur “senza portafoglio” ha concorso – lo si è detto- l’eccezionale statura culturale del prof. Sisinni nella sua formazione cattolica. Valga un esempio a dimostrare quanto visione ideale e capacità progettuale possano rivelarsi determinanti nelle soluzioni concrete. Fu lo stesso Sisinni a ricordare, in una conferenza da lui tenuta agli ex alunni della Badia di Cava e dedicata al tema della bellezza, un episodio rivelatorio di cui fu protagonista. Allorché nei primi anni Ottanta del secolo scorso il Ministro del Beni culturali dell’epoca, il repubblicano Oddo Biasini, si era fatto promotore di un disegno di legge che prevedeva la “secolarizzazione” delle biblioteche e degli archivi monastici, Sisinni, contrario a questo progetto in considerazione dei presupposti storici della formazione del patrimonio librario e documentale di abbazie e conventi, convinse il ministro a visitare la Badia di Cava. Qui, nell’ascolto del canto gregoriano dei monaci, all’epoca eseguito ad arte, nella visita del complesso monastico e del suo cuore costituito da archivio e biblioteca, all’epoca sotto la direzione di un archivista d’eccezione, D. Simeone Leone, Oddo Biasini si persuase a lasciare la responsabilità di conservatore e di direttore ai monaci. Se ancora oggi questi singolari “giacimenti culturali” sono gestiti sotto la responsabilità di monaci e non di funzionari laici esterni, lo si deve alla persuasione di Francesco Sisinni a ritrovare sempre matrici ideali nella gestione pratica della “sua creatura”.

Verrebbe da chiedersi quanto oggi Sisinni si riconoscerebbe in un Ministero che si è reso noto alla pubblica opinione per lo scandalo dei milionari crediti d’imposta concessi alla cinematografia, senza i dovuti controlli, a personaggi improponibili e per opere mai venute al mondo. O nell’attività di Soprintendenze che, a fronte della richiesta di vincolo da parte di privati, ne giustificano il diniego sulla base di una lettura quanto meno opinabile delle norme del Codice dei Beni culturali. Del resto, una denuncia in tal senso Sisinni l’aveva pur resa pubblica in un’intervista a Italia nostra, quando stigmatizzava la deriva del ministero verso le attività culturali di cinema, teatro e sport a scapito dei beni culturali vincolati, politica inaugurata da Walter Veltroni e seguita pedissequamente dai suoi successori Melandri e Franceschini. O quando polemizzava con il modello di “soprintendenza olistica” dalle competenze generalizzate senza distinzioni concrete dei campi di applicazione. Sta di fatto che la scomparsa di una personalità di primario rilievo nella storia repubblicana dell’Italia è stata pressoché ignorata. Del resto l’Italia non è nazione incline a riconoscere i meriti dei veri servitori dello Stato, quei “Grands Commis”, che costituiscono il vanto delle écoles normales francesi, da cui provengono i ranghi più alti della pubblica amministrazione. Di Francesco Sisinni resta però una traccia epigrafica che lui stesso volle comporre in occasione del restauro e del recupero del complesso di S. Michele a Ripa in Roma, oggi sede dell’Istituto centrale del Restauro. Composta in elegante e solenne latino, ricorda il recupero del monumento sottratto ad anni di abbandono e d’incuria e inaugurato alla presenza di Francesco Cossiga, “Summus Moderator Rei Publicae”. Vi sono incisi anche i nomi del ministro e del direttore generale con la formula classica dell’ablativo assoluto latino. La circostanza suscitò l’immediata reazione di una testata quale l’Espresso, che ironizzava sul ricorso alla lingua di Cesare e di Cicerone, considerata evidentemente come vieta erudizione in chiave di autoesaltazione. Nella realtà anche questa era una prova delle idealità di Francesco Sisinni che, attingendo al patrimonio degli antichi in un’originale sintesi culturale, ha reso vitale la questione della tutela e della valorizzazione del patrimonio artistico-culturale senza soluzioni di continuità nella storia e nell’affermazione di una dimensione umanistica costante

Nicola Russomando.