Vito Pinto
Dopo tremila chilometri percorsi a piedi, Mauro Mondello fa tappa a Salerno, calzando un paio di comode e leggere scarpe da ginnastica e uno zaino sulle spalle di 8,5 Kg (il cui maggior peso è il suo computer) dal quale fa capolino una bandierina della Palestina. Novantanove tappe, sinora, con una media di 40-50 chilometri al giorno, che hanno avuto inizio ad Oporto, in Portogallo dove vive e considera sua “città del cuore”, e altri mille chilometri da compiere per raggiungere la mèta: Milazzo in Sicilia città greca e poi “Civitas Romana”, nonché città natale del “marinaio” Luigi Rizzo, che partecipò con Gabriele D’Annunzio alla “Beffa di Buccari”. «Un viaggio lungo – dice Mondello – sul quale, all’inizio, avevo qualche titubanza, ma che, giorno dopo giorno, mi ha svelato un complesso di bellezze umane e urbane, i piccoli, ma importanti gesti delle persone». Mauro Mondello, 42 anni, giornalista di guerra, parte dalla città del pregiato vino “Porto” adagiata sul fiume Duero ad affaccio sull’Atlantico, il 24 maggio scorso e si incammina verso nuove conoscenze, si tuffa nelle emozioni di nuovi orizzonti, spagnoli, francesi e poi italiani. Solitario, a piedi, incontra gente, gli viene offerta ospitalità, si confronta con sé stesso e scopre quanto il corpo possa adattarsi e abituarsi a nuove situazioni, anche difficili. A piedi Mondello inizia quasi un percorso inverso, fisico e dell’anima, lasciando il cammino di Santiago e imboccando la Via Francigena: due strade, due cammini di fede, dove il pellegrino ha percorso e percorre ancora oggi alla ricerca del proprio intimo, trovando sempre punti di riferimento importanti. Naturale è chiedere il perché di questo viaggio. «Ci sono due motivazioni – risponde Mauro – una pratica ed una concettuale. La pratica è che sto raccogliendo fondi per due progetti di solidarietà in Sicilia sui quali questo cammino vuole attrarre l’attenzione. Trattasi della “costruzione” di una casa editrice per la produzione di libri, giornali, audiovisivi ed altro che riguarda principalmente il cambiamento climatico del nostro pianeta e che possa essere un punto di riferimento per i tanti giovani che sono costretti ad andare via dai loro luoghi di nascita. Il secondo progetto vuole creare un’azienda che produca calzini per migranti e senza tetto. L’altra ragione, quella concettuale, è che per creare queste due aziende volevo ritornare a casa, in Sicilia, a piedi come rappresentazione di quella fatica, nel tempo delle risorse, che tanti ragazzi devono affrontare nel loro ambito di riferimento. E poi anche per rallentare, un po’, questo tempo in cui tutto è rapido, veloce». Ti guarda con uno sguardo sereno che ti investe da un volto chiaramente meridionale dominato da neri capelli scapigliati e scopri che dopo un periodo iniziale i suoi rifugi notturni sono diventati i luoghi sacri della nostra spiritualità. Dice: «In Francia e ancor più in Italia basta dire che sei un pellegrino e i parroci ti aprono le canoniche: una cosa molto bella». Poi aggiunge: «Mi colpisce il fatto di conoscere persone, culture sempre diverse, da paese a paese e i pellegrini: ne ho incontrati tanti. E ho scoperto i mille modi che gli altri hanno di approcciarsi a te. Senza contare le storie, tante storie: tu cammini e incontri uomini, donne, storie diverse alcune delle quali ti entrano dentro subito e per sempre. Come quella di una signora di 88 anni, zoppa, cieca ad un occhio che aveva deciso di fare il “Cammino di Santiago di Compostela”, 750 Km di cammino da sola, senza alcun aiuto. Aveva perso il marito quattro mesi prima ed aveva bisogno di ritrovare la sua energia intima. Una storia stupenda che mi ha dato molta vitalità: allora ho capito che sarei arrivato in Sicilia». Le parole si sospendono e invitano alla riflessione: mentre si è seduti in qualche poltrona d’ufficio o del salotto di casa, nel mondo c’è una umanità che soffre, ci sono uomini e donne che si fanno pellegrini per tante, personali ragioni, ma che hanno un fondamento comune: la serenità d’anima da rinforzare o da riconquistare. «La cosa che più mi meraviglia è che in queste ultime tre-quattro settimane la gente, anche se non mi conosce, mi offre ospitalità. Come Pio Peruzzini qui a Salerno o la signora di Belvedere Marittima (Cosenza) che mi ha scritto offrendomi la sua ospitalità quando sarò dalle sue parti in Calabria. Cose che ti danno fiducia nell’umanità anche se a volte mi sembra di perdere questa fiducia perché la gente smarrisce il suo vero senso di orientamento». E la mente corre ai tanti orrori che lui, corrispondente di guerra, ha visto e vede in giro per il mondo. Vive si fanno le immagini di quella terra rappresentata dalla bandierina che si porta nello zaino: «Quello che sta succedendo in Palestina è drammatico e penso che qualunque posizione si possa avere, pro o contro l’una o l’altra parte, non si può negare che lì ci sono persone che vengono uccise senza ragione: una cosa che va oltre ogni posizione o idea personale», e le parole restano sospese nel caldo di un pomeriggio estivo… Osservatore attento, da buon giornalista tiene diligentemente un diario di viaggio dove appunta, giorno dopo giorno, i suoi incontri, le sue esperienze, le sue emozioni, un viaggio che «insegna a non avere pregiudizi – dice – a conoscere sé stessi e gli altri. E’ un viaggio che sto facendo tutto da solo e mi sta dando innanzitutto una profonda conoscenza di me stesso». Un diario che, confessa, vorrà pubblicare per portare agli altri questa sua avventura umana e spirituale con la quale sta integrando e, a volte, rivedendo la sua interiorità, il suo modo di leggere fatti e avvenimenti personali ed altrui alla luce di una sua personale credenza di fede. Quasi pensiero ad alta voce, Mondello dice: «Sto acquisendo una interiorità estrema su cosa sei e cosa significa stare al mondo: è una esperienza irraggiungibile». Buon viaggio, Mauro… da qui all’eternità!





