di Alfonso Malangone*
Una volta, i problemi erano elementari e si potevano affrontare con le conoscenze, egualmente elementari, trasmesse da una generazione all’altra in forma orale, prima che in quella scritta. Era quanto bastava, almeno per la stragrande maggioranza delle faccende quotidiane. A quei tempi, l’esercizio del potere trovava sostanza principalmente nella forza, non nel sapere. Poi, le cose sono cambiate, dopo i secoli bui, e cambieranno ancora con l’intervento dell’intelligenza artificiale e la disponibilità di marchingegni elettronici che tutto spiegano e tutto diffondono, ma pochi capiscono. Almeno, in gioventù, si poteva smontare il trenino per arrivare a trovare il motorino a molla che lo faceva muovere. Proviamo a smontare un computer! Di fatto, la gran parte delle conoscenze è frutto oggi dell’uso di un arnese-sempre-connesso e di un bagaglio di informazioni che consentono a ciascuno di assumere decisioni fai-da-te e ne accompagnano ogni azione pur senza avere la minima conoscenza di un qualsiasi problema. Epperò, se la tecnologia rende più efficienti e più performanti, come si dice, è indubbio che essa rende anche più soggiogati, buoni solo ad eseguire le istruzioni di un libretto ‘di istruzioni’, quando pure si capisce. E, purtroppo, chi è ‘fuori’ da questo è destinato ad una nuova schiavitù culturale, morale e materiale. Non solo. La sfrenata standardizzazione ha introdotto e diffuso un generale livellamento delle modalità di vita che, oltre a spingere ad acquistare gli ‘stessi’ mobili, a vestire secondo la ‘stessa’ moda o a mangiare gli ‘stessi’ prodotti, induce a emulare e replicare menti e comportamenti come scelta idonea a vivere con più facilità. In tutto questo, nessuno pensa che uniformare i pensieri, le aspettative, le speranze, i sogni e le volontà, possa essere l’obiettivo di coloro che dispongono del sapere per indirizzare, decidere e organizzare il futuro dei tanti disposti a seguire la corrente del fiume condizionandone la libera determinazione con la gestione dei mezzi di informazione. Ovviamente, non sono i mezzi il pericolo, ma lo sono le informazioni quando volte a depistare, a distogliere, a distorcere. Così, l’esercizio del potere è oggi sempre accompagnato dall’occupazione dei centri di diffusione delle notizie. Basta uno spot in tv o sui social per ‘lavare i cervelli’, arricchirsi, espandere le influenze, favorire figli, nipoti, parentela varia e chiunque altro dichiarasse di essere disposto a far parte del seguito, a volte per convinzione, molto più spesso per convenienza. Perché, essere dalla parte dei forti, rinforza. Finché dura. Churchill osservò che in Italia c’erano 45milioni di fascisti e 45milioni di antifascisti anche se, aggiunse poi: “questi 90milioni non risultano dai censimenti”. In realtà, così va il Mondo quando si vive da ‘avatar’, cioè da semplici replicanti. Secondo l’art. 1 della “Dichiarazione Universale dei Diritti Umani” del 1948, “tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti…sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”. E’, ovviamente, una dichiarazione di principio, non una rilevazione oggettiva giacché, di fatto, nessun essere umano viene al mondo veramente libero in qualsiasi parte di questa Palla vagante nel vuoto. Di fatto, ciascuno entra a far parte di una Comunità, di una cultura, di una tradizione, di una condizione economica e sociale, di un ambiente condizionante nel quale dovrà crescere e dal quale potrà uscire solo acquisendo, nel tempo, la vera e unica libertà di cui possa godere: “essere padroni di sé stessi, dei propri pensieri e dei propri desideri” nonché “essere in grado di agire in modo consapevole”. Solo grazie ad essa possono aprirsi quei nuovi orizzonti verso i quali dirigersi con una robusta forza morale costruita grazie alla cultura, alla professionalità, alla civiltà, allo spirito di sacrificio, alla volontà di combattere per migliorare sé stessi e la propria posizione. E’ evidente che spetta alle Istituzioni con la I maiuscola favorire tutto questo, secondo le specifiche competenze, garantendo a tutti l’accesso alle ricchezze comuni per la crescita mentale, ‘scuola e formazione’, quella fisica, ‘sport e assistenza’, quella psicologica e sentimentale, ‘socialità e relazioni’, quella civile, ‘educazione, rispetto, dignità’. In definitiva, nonostante quell’art. 1, la libertà di ogni essere umano non sarà mai possibile senza convergenti azioni da parte di tutte le strutture di una moderna società, libera e democratica. Laddove esse dovessero mancare, saranno possibili solo la sottomissione e la sudditanza economica, psicologica e morale. Con riferimento a tutto questo, una riflessione non può mancare su una notizia di fonte ‘Openpolis’ pubblicata di recente anche in ambito nazionale: tra i 36.802 residenti in Città a fine 2021, di età compresa tra i 25 e i 49 anni, solo il 38,5% era in possesso del diploma o titolo superiore. Il che equivale a dire che il 61.5% aveva appena la terza media o, meglio, che 22.600 abitanti circa non godono di un livello di preparazione adeguato ai tempi. Molto verosimilmente, a tutti o alla gran parte di essi non è consentito disporre del proprio futuro. E, forse, neppure del proprio presente. Purtroppo, questo dato si intreccia con quello della decrescita demografica, di cui pure si è dibattuto nei giorni scorsi, che segnala la diminuzione dei residenti a 125.529 unità al 31/05 scorso. Una tendenza ormai irreversibile visto che, statisticamente, ogni anno c’è un saldo naturale negativo, tra nati e deceduti, di oltre 1.000 cittadini (fonte: Istat). In sostanza, ne nascono meno, e ormai siamo a circa 650 l’anno, mentre ne muoiono di gran lunga di più, almeno 1.700 l’anno, a causa dell’invecchiamento della popolazione (fonte: Istat). Dalle dimensioni del fenomeno, appare chiaro che non è ipotizzabile una inversione di tendenza, neppure nel lungo periodo, a meno che non si riesca a raddoppiare il numero dei nuovi nati. Sui decessi poco si può fare. Però, ci sarebbe l’immigrazione. Ma, sempre in base alle statistiche, gli arrivi da altri comuni sono pari a circa 2.200 l’anno a fronte di partenze per 2.400 di famiglie e giovani dotati del sapere. Ulteriore saldo negativo che non trova compensazione con altri ingressi, in particolare quelli degli extracomunitari che, però, non sembrano favorire il miglioramento del livello di preparazione complessivo. Né mancano altre conseguenze, come le baracche sotto i ponti dell’Irno o sui gradoni del Centro Storico. Una migliore accoglienza sarebbe pur possibile. Così, l’unico modo per tornare a crescere imporrebbe il ripristino delle condizioni che, nel secolo scorso, portarono la Città a raggiungere i 157.385 residenti a fine 1981. Allora, fu lo sviluppo industriale da boom economico, accompagnato dal miglioramento delle condizioni sociali, a richiamare nuovi cittadini dai territori interni del Vallo di Diano, della Basilicata e della Calabria superiore. E, allora, una domanda è naturale: “cosa si sta facendo, di concreto, per contrastare la decrescita e l’emigrazione dei giovani professionalizzati?” E, poi: “cosa si fa per recuperare i giovani dispersi a scuola?” Il ‘Mentoring’ è un metodo molto efficace, per questo. Peccato che qualcuno lo consideri un ‘buco con la menta intorno’. In una Città di anziani, dovrebbero crescere le attività più innovative e più redditizie per tenere alti il livello di preparazione e gli stipendi. Su questo qualcuno dovrebbe dire qualcosa, invece di magnificare l’arrivo dei turisti che apportano pochi spiccioli ai commercianti e fanno crescere pizzerie e friggitorie con lavori poveri, pure stagionali e part-rime, non certo idonei a offrire ‘la libertà di disporre del proprio futuro’. Per molti o, meglio, per la maggioranza, non restano che le porte della famiglia in attesa che si aprano quelle di qualche potente o di qualche società pubblica per un posto purchessia, pure da ‘spicciafaccende’. Chi non si batte contro questa penosa situazione ‘psicologica e materiale’, anticamera di una nuova schiavitù ‘morale e culturale’, evidentemente non ne apprezza le conseguenze. Oppure, le conosce bene. Non è difficile convincere chi ha poco da offrire che si può vivere benissimo con la testa in giù, salvo peggio, tessendo lodi a maggior gloria e inneggiando alla libertà. Salerno ha bisogno di amore. E di libertà. Quella che consente di essere padroni di sé stessi. *Ali per la Città






