di Erika Noschese
Palloncini bianchi si alzano in cielo, un lungo e commosso applauso rompe il silenzio fuori dal duomo dei Santi Pietro e Paolo a Montecorvino Rovella. È il momento più difficile, quello in cui il feretro di Assunta “Tina” Sgarbini, 47 anni, lascia la chiesa per l’ultimo viaggio. Tra le lacrime dei familiari e degli amici, una comunità intera si stringe nel dolore per una vita spezzata, quella di una donna uccisa la scorsa settimana da Christian Persico, il reo confesso con cui aveva avuto una relazione e che ora si trova nel carcere di Salerno-Fuorni. Durante l’omelia, monsignor Alfonso Raimo, vescovo ausiliare della diocesi di Salerno, ha dato voce al dolore di tutti. “Oggi, il nostro cuore è attraversato da un dolore profondo, un dolore che sembra non avere parole adeguate”, ha detto, affidando al Signore “l’anima di Tina, giovane mamma strappata alla vita in maniera crudele e ingiusta, vittima di quella piaga che ormai chiamiamo con un nome preciso: femminicidio”. Il vescovo ha sottolineato che per la comunità locale il termine non è un concetto astratto: “è un volto, una storia, una madre che amava i suoi tre figli, che ha visto spezzato il filo della sua esistenza in un atto di inaudita violenza”. Il sacerdote ha poi scandito, con forza, che di fronte a “un corpo senza vita, davanti al silenzio che ci stringe la gola”, non si può rimanere indifferenti. “Il Vangelo ci chiama a guardare in faccia il male, a nominarlo e a condannarlo, senza esitazioni”. Raimo ha rimarcato come la violenza non sia mai una soluzione, né “nei rapporti tra i popoli” né “tra le mura di casa, nella vita familiare, nei legami più intimi e sacri”. Il suo pensiero è andato a tutte le vittime: “Oggi piangiamo Tina ma insieme a lei dobbiamo piangere le tante, troppe donne che, negli ultimi anni, negli ultimi tempi, negli ultimi giorni, hanno perso la vita per mano di chi diceva di amarle. E, insieme a loro, piangiamo anche i figli e le figlie che restano con cicatrici invisibili ma indelebili”. LE ISTITUZIONI SI UNISCONO AL CORDOGLIO E CHIEDONO AZIONI CONCRETE Il sindaco di Montecorvino Rovella, Martino D’Onofrio, ha proclamato il lutto cittadino, riflettendo sulla tragedia che ha scosso il suo paese. “Questa morte ci ha lasciato basiti tutti”, ha affermato, ribadendo l’impegno a “ragionare affinché queste cose non si verifichino più”. D’Onofrio ha annunciato che la comunità non dimenticherà la vittima: “Stiamo immaginando già qualche iniziativa per ricordare Tina. Tina non verrà dimenticata”. Il sindaco ha espresso la speranza che “questa morte possa essere ad esempio”, un modo per dire “no ad un amore malato, ad un amore che non deve esistere. La donna deve essere sempre tutelata, la donna va sempre amata, va amata col vero amore, quello dell’affetto”. Anche il sindaco di Bellizzi, Mimmo Volpe, ha presenziato per “dare un messaggio forte di unità, di solidarietà”, ma anche per far emergere le “tante violenze che si perpetrano nelle case chiuse”. Volpe ha descritto l’omicidio come un atto “meditato a lungo”, un’atrocità che fa emergere solo “tanta rabbia”. Il primo cittadino ha sottolineato che, nonostante l’esistenza di centri antiviolenza e numeri di emergenza come il 1522, “spesso quando parte la denuncia poi c’è una fase in cui si crea un vuoto tra le paure della donna che ha denunciato e le reazioni violente del maschio denunciato. Quindi, in questo contesto bisogna cercare di fare di più, creare una norma di protezione intorno alle donne”. Franco Picarone, consigliere regionale della Campania, presente all’ultimo saluto, ha parlato di un necessario “cambio culturale”, perché “una società che fa un passo avanti e tre indietro” non può più permettersi tragedie del genere. Per il consigliere, è indispensabile “entrare a contatto delle famiglie, della genitorialità, dei genitori, capire quello che succede nelle famiglie perché da lì partono messaggi anche per i figli che poi una volta diventeranno grandi”. Picarone ha insistito sulla necessità di “azzerare la sopraffazione dell’uomo sulla donna” e di avviare una “rivoluzione culturale”. Pur lodando il lavoro della Regione Campania, che ha aperto e sostenuto numerosi centri antiviolenza, ha sottolineato che questi intervengono “nella fase patologica quando si è consumato l’episodio di violenza o quando addirittura si è consumato il femminicidio”. La vera sfida, ha concluso, è la prevenzione, un tema che la società non ha ancora pienamente recepito. IL MONITO DEL VESCOVO: “L’UMANITÀ DECADE” A margine della cerimonia, monsignor Raimo ha riflettuto con la stampa, mettendo in guardia contro la “indignata rassegnazione” che spesso segue le tragedie. Ha espresso frustrazione per i “fiumi di parole” che rischiano di scadere nell’impotenza, ribadendo che “le leggi non bastano. Qui c’è bisogno di una un’autentica formazione al rispetto umano eh che parte dall’infanzia”. Ha chiamato in causa tutte le “agenzie educative”, dalla Chiesa alla famiglia, dalla scuola alle istituzioni, perché si crei una “alleanza educativa nella quale è la persona che venga rispettata nella sua diversità, nella libertà che deve caratterizzarla”. Il monsignore ha poi offerto una profonda riflessione sul significato di queste morti: quando si uccide una donna, “non è semplicemente… il genere femminile che viene colpito”, ma “il genere umano”. “Ogni qualvolta una donna, una mamma viene uccisa in questo modo brutale è la… l’umanità che decade. È l’umanità che perde la propria dignità”. Ha messo in discussione l’idea di amore come possesso: “La vita non può essere una proprietà. Non si può disporre della vita dell’altro, non si può pensare di farlo anche in nome dell’amore, perché l’amore ha come prerogativa quella di garantire la libertà”. Infine, ha parlato della necessità di educare al perdono, che “non è umano, è divino”, e di assicurarsi che la memoria di Tina non scompaia. “Non dobbiamo ricordarla per la fine che ha fatto, ma per la vita che ha vissuto questa donna”, ha detto, esprimendo particolare preoccupazione per i figli delle vittime, che dovranno convivere con un “dolore profondo” e con il rischio di una “rabbia lacerante”. Il suo appello finale è stato chiaro: non bastano gesti simbolici, ma serve un investimento profondo “nella educazione, nella formazione”. “Bisogna insegnare che la via migliore per risolvere i problemi non è mai la violenza”, ha concluso, sottolineando l’urgenza di educare “al dialogo, al confronto sereno, all’accettazione della diversità”, specialmente “nei bambini e nei giovani adesso”.





