di Giuseppe Nappo e Vincenzo Sica gruppo scuola Maestri del lavoro
Arrivando in città percorrendo la Napoli – Salerno appena chiuse le curve vietresi, un cartello ti avvisa l’ingresso nella galleria Iannone. Un cartello sfuggente forse anche mal posto che nulla svela a chi percorre distratto l’autostrada che, in effetti, la galleria di poche centinaia di metri sbuca nel canalone del Fusandola scavalcato per mezzo di un ardito viadotto che introduce in una seconda galleria quella del seminario. I due toponimi originati con la costruzione dell’autostradale sono poco noti alla maggioranza dei salernitani. Mentre per la collina del Seminario il suo utilizzo come parco lo rende identificabile nell’odonomastica della città, questo non è avvenuto per il toponimo Iannone, evaporato e disconosciuto dalla storia benché il palazzo che originò il nome sia, guardando verso ponente, da almeno 150 anni presente nello skyline della città. Oggi quando le moderne navi crocieristiche entrano nel porto, non possono non notarlo cosi arroccato sul costone e affacciato sul porto cittadino. Peccato che nessuna guida potrà mai raccontare di quel bel palazzo, tanto misterioso da far sorgere leggende di fantasmi. Perché quel palazzo oltre che bello è stato testimone muto di ricchezza storica vissuta tra mare, porto e terra. Muta testimonianza visibile di un’accorta famiglia d’industriale del legno. Spulciando il tramandato orale con accortezza s’intuisce come anche il retrostante rione Canalone ne beneficiò per decenni giacché molte maestranze provenivano dal rione. Enrico Iannone è stato un industriale del legno molto attivo certamente a inizio del XX secolo possedeva una grande segheria con deposito di legnami collocata alle spalle della capitaneria di porto. Alzando la testa dai suoi piazzali si vedeva la sua dimora stagliarsi bianca come una sentinella che teneva sott’occhio tutta la città. Dalla sua dimora don Enrico teneva sott’occhio l’antiporto in modo che appena sveglio già sapeva come organizzare il personale tra carico scarico legnami dalle imbarcazioni oppure se non fossero stati previsti trasbordi avrebbero utilizzato il personale nella segheria e i carrettieri nel trasporto e consegna dei legnami. Già, perché don Enrico Iannone fu uno dei “Re delle Chiacarelle” come lo definì Mast’ Rodolfo Caputo, uno dei suoi ultimi operai in segheria. Chiancarella, negli anni correnti è diventato un pessimo neologismo per definire un’arte mercatale del legno ormai definitivamente scomparsa. Iannone forse fu il primo dei grandi commercianti in manufatti lignei dell’area portuale di Salerno, tanto grande da costruirsi il palazzo che ancora oggi sfida l’oblio. Le chiacarelle erano pezzi di legno di varie dimensioni derivato da chianca, quel grande pezzo di massello sul quale i macellai spezzavano la carne. Il passaggio da chianca, legno, a chianchiere, mestiere dovrebbe essere ancora oggi compreso, anche se è sempre più desueto. Chianca grande legno, chiancarella legni di dimensioni diverse realizzarti nell’industria specifica della segheria. Don Enrico Iannone possedeva giù al porto la più grande segheria. Nei suoi piazzali c’erano legnami accatastati di varie dimensioni e utilizzo. Legno tagliati a tavola di ponte di varie lunghezze e spessori o pali e ogni altra tipologia di legnami che erano usati nell’edilizia. Sostanzialmente il luogo era un grosso deposito a cielo aperto di legname scaricato dalle navi per essere lavorato, oppure già pronto nelle misure standard per essere spedito via mare, in lungo e in largo per il mediterraneo. Chiacarelle in modo spregiativo definiva anche la seconda scelta di queste produzioni che pur non vendibili a prezzo pieno erano acquistate per tutti quei lavori edili fatti in estrema economia. Quante case a Canalone e in città sono venute su utilizzando lo scarto delle produzioni di Iannone? Se il legno della segheria Iannone a inizio del XX secolo rappresentò anni di floridissimo commercio per il porto di Salerno, ne beneficiarono sia Iannone come tanti operai di Canalone utilizzati in segheria, nei trasbordi portuali di carico e scarico, i carrettieri che affiancavano l’edilizia. Negli stessi anni fu edificata tutta la palazzata del nuovo lungomare e il legno tutto dal porto passava. Probabile che la segheria sul porto sia stata impiantata contestualmente ai cantieri nautici anch’essi utilizzatori di legni nobili per le prodizioni marittime con legni duri d’importazione, pure è certo che la segheria producesse doghe per realizzare varie tipologie di botti da vino. In genere i depositi di Iannone sul porto erano pieni di doghe ma poteva mancare lo specifico tipo richiesto, per cui bisognava ordinarlo su in montagna dove le segherie lavoravano il castagno di primo taglio, portato con i carretti fino al porto. Caratelli, bordolese e quant’altri nomi avessero per classificarle, sempre doghe per botti erano, dai profani del mestiere associate in “chiacarelle”. Erano elementi essenziale per costruire botti per il vino e olio. Era un commercio floridissimo per il porto di Salerno che al massimo scaricava grano per le industrie molitorie, materiali silicei e refrattari per le fonderie o carrube per gli animali da soma. Le doghe costruivano il primo elemento utile all’esportazione via mare quando il legname era indispensabile per commerciare olio e vino con i paesi che producevano e vivevano soltanto di questi prodotti. Le destinazioni finali in quegli vanni erano i porti d’Algeria, di Valencia, di Siviglia, di Lisbona, di Oporto. Tutti paesi che producevano appunto vino e olio, ma non avevano il buon legno di castagno che era facile a piegarsi con il calore e “teneva” così bene da non far perdere una goccia di liquido alle botti che con esso si costruivano. A trattare quelle doghe era una vecchia famiglia salernitana, quella di don Enrico Iannone, che viveva nella sua bella casa di Canalone, già l’ingresso carrabile per accedere a quel bel palazzo gentilizio affacciato sul golfo di Salerno era di fianco alla vecchia chiesa di San Gaetano. Un mondo che prima la guerra poi l’alluvione e poi gli sventramenti per realizzare l’autostrada ha cancellato lasciando che in quella bella casa aleggiassero più fantasmi che ricordi reali. Con la scomparsa del patriarca le famiglie discendenti si sono divise fra Italia e la Spagna in seguito dopo la costruzione del viadotto Gatto ci fu un periodo in cui il palazzo fu interessato da importanti lavori di recupero strutturali, conclusi senza portare a utilizzo continuo della panoramica costruzione.





