Grande successo di critica e pubblico per il pianista palermitano che ha chiuso la seconda edizione di PianoSalernoForte
Di OLGA CHIEFFI
” La Musica Eminentissimo Signore è una così nobile, così necessaria e importante attione, per i felici suoi parti che produce, che parmi ben dir si possa che senza questo mezzo imperfetta potrebbe dirsi l’immensità del mondo…” Così scriveva nel 1635 Girolamo Frescobaldi, compositore ferrarese che ha inaugurato il récital di Giuseppe Andaloro. Un omaggio allo sfarzo barocco della Chiesa di San Giorgio che ha ospitato i cinque accorsati concerti della seconda rassegna PianoSalernoForte, rassegna promossa dall’EPT di Angela Pace e diretta da Costantino Catena. Pare che Salerno abbia fame di musica da camera, nonostante la minore evidenza gestuale, la riserbatezza dei mezzi e, in genere, la comparativamente maggiore difficoltà di linguaggio, che speriamo attraverso queste iniziative possa far sempre più “risuonare” l’interesse verso il repertorio cameristico, che sa unire alla suprema densità di scrittura non meno straordinaria amabilità e accattivante eloquenza. Il punto di vista di Andaloro è inevitabilmente e assolutamente il suo strumento, ovvero il suo pianoforte, che si mostra totalmente ignaro che sia esistito il clavicembalo. Non c’è stata alcuna inibizione al pianismo: avvolgente uso del pedale, legatissimo cantabile, varietà infinita di dinamiche. E’ come se la pagina scritta, con la sua povertà di indicazioni, fosse stata un disegno a due dimensioni, a cui abbia voluto donare il colore e, soprattutto, una terza dimensione: quello “spazio” sonoro fatto degli infiniti piani su cui sono state collocate le variazioni, così come per la Sonata Cromatica di Tarquinio Merula che ha punteggiato con sonorità, tali da assumere un peso ed una rilevanza psicologica, in una ricreazione finemente colta del rapporto antico, originale, tra il testo e chi ne prende singolarmente coscienza. Giuseppe Andaloro si è cimentato quindi, con i 4 Improvvisi D899, op.90, composti da Franz Schubert tra il 1827 i primi due e il 1857 il terzo e quarto. Il pianista ha sapientemente reagito alle infinite occasioni di sensibilità e di fantasia “caso per caso”, “momento per momento” tanto che diventa persino difficile organizzare un qualsiasi teorema sulla sua formula interpretativa. Entro limiti molto sfumati, è come se per lui la prevalenza dell’idea individuale sulla forma generale fosse stata onorata, lasciando che ogni atmosfera fosse stata evocata con il tempo che più la caratterizza intimamente Un’esecuzione che ha schizzato quasi una visione d’ingegneria musicale, piani esplicativi di microstrutture di cui non si era sospettata l’esistenza, indicando con esattezza la poliritmia, secondo l’autore. L’Op. 10 di Johannes Brahms è nel suo insieme un ciclo unitario, una rievocazione triste del poema popolare scozzese “Edward”, che racconta in forma di dialogo perché la spada di Edward è insanguinata: il giovane ha ucciso il padre ma, si apprende alla fine, su istigazione della madre, che però non prende parte al parricidio. Andaloro ha reso giustizia alle raffinatezze dell’arte brahmsiana con varietà di inflessioni e di accenti e un’attenzione timbrica grazie ad uno strepitoso uso del pedale. Il solista si è congedato dal pubblico salernitano con la Ballata n°4 op.52 di Fryderyk Chopin. Brano apprezzato per il controllo perfetto di dinamiche, pesi e colori. Infinita la gamma timbrica che Andaloro ha sollecitato dallo strumento, e non si può non sottolineare lo “spolvero tecnico” sobriamente volto ai valori musicali della pagina chopiniana. Scroscio di applausi e due bis un preludio di Rachmaninov e ancora uno scherzo di Brahms.