Olga Chieffi
Da ieri sera a Villa Rufolo i linguaggi il segno dell’arte visiva e di quella musicale si incontrano in questo luogo che sembra avere da LXXIII anni le pareti di un atanor. Il simbolo artistico, tutto, come quello della danza e della musica pare possegga la forma del fornetto alchemico in cui l’umano e il divino, l’iniziatico e il razionale, il chiaro e l’oscuro si percepiscono, si sfiorano, s’intendono, un simbolo che per sua natura genera e reca significati molteplici e nuove figure, che da un verso è qualcosa di dato all’uomo e dall’altro è qualcosa che l’uomo si foggia inscenando magari un rito. Ieri sera la mostra di Anselm Kiefer “Le Donne dell’Antichità” ha vissuto il suo vernissage. Attraverso un linguaggio evocativo e carico di simbolismi, l’autore invita a considerare l’opera di Kiefer come un viaggio nel tempo e nella memoria, dove la materia diventa preghiera e monumento alle figure femminili che la storia ha lasciato nell’ombra. Le donne raffigurate nelle opere sono archetipi senza volto né corpo, simboli di miti e storie perdute, testimonianze silenziose di un passato che si sedimenta nella pietra, nel piombo e nel ferro. Sono figure che portano sulle pelle le tracce di ferite, di rituali e di memorie ferite, emergendo tra le crepe della civiltà come fiori tra le rovine. Le installazioni di Kiefer sono percepite come relitti sacri, reliquie di un tempo che si fa presenza, evocazione di assenze che invitano alla riflessione sul senso della memoria, della rovina e della resurrezione. L’opera di Kiefer per scavare nel mito, nella terra, nella storia e nella colpa, plasmando il tempo come una materia viva, priva di un prima e un dopo netti, ma intrisa di ferite e gesti estremi. Il femminile rappresentato è arcaico e iniziatico, generativo e catastrofico, un simbolo di presenza e di assenza, di nascita e di distruzione. L’opera di Kiefer nell’allestimento della Rumma, non cerca di consolare, ma di sfidare, di rivelare la sacralità del dolore e della rovina, invitando a una presenza attenta, disarmata, capace di restare nel dubbio e nella contemplazione delle macerie della storia. È un appello a non dimenticare, a riconoscere il peso del passato e il valore della memoria come strumenti di resistenza e di rinnovamento. Il segno musicale di questa sera, invece è stato affidato dal direttore artistico del Festival Lucio Gregoretti, all’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, con sul podio il suo direttore musicale Daniel Harding. La serata principierà alle ore 20, con Blumine di Gustav Mahler, che corrispondeva al secondo movimento della I sinfonia. Blumine, pare, inoltre, facesse originariamente faceva parte delle musiche di scena scritte per Der Trompeter von Säkkingen di Joseph Viktor von Scheffel e che Mahler aveva introdotta nella sinfonia solo per preservarla da un eventuale oblio. Il compositore, inoltre, decise di togliere dalla struttura della sinfonia il brano, al quale aveva dato pure un titolo, Una ghirlanda di fiori. Dal punto di vista formale Blumine presenta una struttura tripartita in cui il tema principale, gradevole e, al tempo stesso, semplice, che ritorna dopo un breve sviluppo, è affidato alla tromba. Pur essendo stata eliminata dalla sinfonia, Blumine fa sentire la sua dolce e delicata presenza in alcuni interessanti richiami negli altri movimenti e, in particolare, allo Scherzo, dove appaiono le prime sei note del tema in una diversa veste ritmica. Mahler amò questa composizione tanto da definirla: “Una serenata al chiaro di luna suonata da una tromba oltre le rive del Reno”. Si procederà, indi, con il Vorspiel und Isoldes Liebestod, dal Tristan und Isolde. Il Preludio, che aldilà di ogni possibile gerarchia è una vetta, se non l’apice della musica occidentale, incarna storicamente un inizio e una fine: l’ armonia non è più quella “inaugurata” da Bach e consolidata da Mozart e Beethoven; è il primo passo verso la musica moderna. Sulla melodia densa di sussulti, l’orchestra cresce gradualmente di volume, il flusso delle cadenze incomplete si fa più vertiginoso, sempre di più, siamo smarriti, non c’è un punto di riferimento finchè, dopo l’ennesima vorticosa, sinuosa, arrampicata del leitmotiv su se stesso ci avvolge il climax, la cadenza finale e decisiva, l’esplosione della volontà di potenza, “Nel respiro del mondo…/Nell’alitante Tutto… / naufragare…”; in cui, anche le fibre dell’ascoltatore sembrano disgregarsi e perdersi, in questo approdo finale dopo il quale la melodia si scioglie sussurrando su di un soffice tappeto armonico. La seconda parte della serata sarà interamente dedicata alla esecuzione della seconda Sinfonia di Johannes Brahms Sinfonia n. 2 in re maggiore op. 73. Composta nell’estate del 1877 in questa Sinfonia, insieme all’influenza del valzer viennese, si afferma una cantabilità di ascendenza liederistica particolarmente evidente nel primo movimento, Allegro non troppo, dove la dialettica drammatica, tipica del bitematismo della forma-sonata, è sostituita da un’atmosfera di grande lirismo. Il carattere cantabile domina anche il secondo movimento, Adagio ma non troppo, diviso in tre sezioni basate sulla tecnica della variazione. Molto interessante è il tema iniziale, strutturato con la sovrapposizione contrappuntistica di due linee melodiche dei quali il primo, esposto dai fiati, è sereno e tranquillo, mentre il secondo, affidato ai violini, è più lirico ed espressivo. Nel terzo movimento, Allegretto grazioso, che, dal punto di vista formale, ricorda allo stesso tempo uno Scherzo con due trii o un Rondò, si afferma un carattere danzante soprattutto nel tema iniziale esposto dagli strumentini; due episodi, più vivi e pulsanti dal punto di vista ritmico, in andamento Presto non assai, separano il ritorno di questa danza serena. Estremamente sereno e pieno di fiducia e di ottimismo è, infine, il quarto movimento, Allegro con spirito che presenta una struttura formale insolita, in quanto l’esposizione bitematica riconduce alla forma-sonata, mentre lo sviluppo tradizionale è sostituito da un breve episodio di carattere lirico. La ripresa presenta, infine, un carattere conciso di ascendenza mozartiana, come, del resto, la coda dove risalta un’esplosione della fanfara sulle note del secondo tema.





