Di Antonio Manzo
Lui sa. Ha sempre saputo e taciuto. Ma non ha parlato per rispetto del segreto istruttorio che deve osservare anche un consulente tecnico della Procura della Repubblica o delle parti private. Soprattutto fallite o sull’ orlo del default. Lui è un eroe del segreto istruttorio. Si chiama Ivan Meta, commercialista, salernitano di adozione. Dottore Commercialista, salernitano di adozione dal 1974, attualmente iscritto all’Ordine di Milano con studio in Salerno e Milano. E’ stato curatore fallimentare che dal 2001 ha sempre coadiuvato la Procura di Salerno per i reati di bancarotta fallimentare (tra i quali Alvi S.p.A), Amministratore Giudiziario per Procura di Nocera Inferiore, per la Sezione Misure di Prevenzione Tribunale di Milano e per la Procura di Como.
Ed ora decide di parlare perché è stato consulente tecnico dell’imputato monsignor Nunzio Scarano. Decide di farlo dopo che i processi a carico dell’ex responsabile dell’amministrazione del patrimonio della santa Sede Apostolica sono stati celebrati. E, stavolta, intende spiegare come ha salvato, cifre e codici alla mano, un prete protagonista della Vatican Connection.E non è poco nel Paese del melodramma e delle tifoserie, dove si afferma la presunzione d’innocenza e si pratica, con disinvoltura, quella di colpevolezza. E, nel caso concreto, la stazza dell’imputato e quello del fallimento Alvi lo avrebbe dovuto indurre ad un manierismo normativo di facciata con tutti i molti punti oscuri istruttori ancora tutti da far capire ed in fase di Appello.
E’ di moda dire che imputati e indagati non debbono essere considerati colpevoli fino al giudizio definitivo. Visti i risultati ottenuti dal monsignore della Vatican connnection si può dire che è stato rispettato il principio giuridico della non colpevolezza?
< Nel trito dibattito tra garantisti e giustizialisti, magari a giorni alterni, tra innocentisti e colpevolisti, spesso sulla base delle convenienze, c’è stato nel caso di monsignor Scarano il sensazionalismo di certa informazione. E’ bene spiegare subito che Monsignor Nunzio Scarano è stato rinviato a giudizio in tre procedimenti penali per i quali è stata elaborata anche la mia difesa tecnica>.
La prima accusa per monsignor Scarano fu per usura?
<Si, un processo che risale al 2014. L’esito della sentenza: Nunzio Scarano assolto perché il fatto non sussiste>.
Come nasce il processo?
<Il giudizio aveva come ipotesi accusatoria la natura usuraria di n. 4 prestiti concessi a titolo di favore personale da Mons. Nunzio Scarano a due soggetti privati in virtù di profondi rapporti di amicizia. La consulenza tecnica redatta, confutando le conclusioni della relazione del consulente dell’accusa, ha dimostrato che con la corretta applicazione delle prescrizioni della Banca d’Italia in ordine alle Istruzioni per la Rilevazione dei Tassi Effettivi Globali Medi, ai sensi della Legge sull’Usura, in nessuno dei casi indicati oggetto di imputazione, vi erano gli elementi costitutivi del reato contestato. Il Tribunale ha emesso sentenza con la formula dell’assoluzione perché il fatto non sussiste pertanto, si è dimostrato che nessuno degli elementi integrativi della fattispecie criminosa contestata risultava provato>.
Ma perché il fatto non sussiste?
Questa formula prefigura la “cosiddetta assoluzione piena”. Il legislatore ha esposto le formule assolutorie secondo un ordine logico: dalla più favorevole all’imputato a quella meno favorevole. La più vantaggiosa, quindi, come nel caso di Monsignor Scarano, è quella che riconosce l’insussistenza del fatto. L’assoluzione di Monsignor Scarano per quest’ipotesi di reato è definitiva. Il processo è chiuso e, come erroneamente riportato non era imputata la commercialista Tiziana Cascone>.
Nel processo per riciclaggio dopo la condanna in primo grado poi confermata in Corte di Appello ora la Cassazione ha annullato la sentenza rinviando il processo alla Corte di Appello di Napoli.
<Il rinvio a giudizio di Monsignor Scarano fu richiesto, ben 15 anni fa, sull’assunto che avesse riciclato disponibilità finanziarie, provenienti in via esclusiva dagli esponenti della famiglia D’Amico, la cui origine veniva ritenuta illecita in quanto frutto di redditi non dichiarati>. Bata questo per sostenere l’accusa di riciclaggio?
Precisato che il reato di riciclaggio richiede che vi sia stato il compimento di un precedente reato (il cd. reato presupposto), da parte di un soggetto anche terzo, nel caso in esame il reato presupposto, nell’ipotesi accusatoria, era individuato nella violazione della normativa che disciplina le fattispecie del reato d’evasione fiscale nel solo caso del superamento di soglie di evasione previste dalla stessa norma>.
Quindi una ipotesi accusatoria fondata anche da una presunta evasione fiscale compiuta dagli armatori D’Amico?
<L’ipotesi formulata dagli inquirenti fondava le proprie motivazioni sul presupposto essenziale che il denaro erogato dalla famiglia di armatori D’Amico, costantemente nel tempo, a favore di Monsignore Scarano con bonifici e assegni accreditati, anche mediante l’utilizzo di società estere (definite ghost/offshore), su conti intestati a Monsignor Nunzio Scarano, provenisse da evasione fiscale penalmente rilevante>.
A quel punto scatta la sua relazione tecnica.
Che mai è stata contestata dall’accusa nel corso di tutti i gradi dei giudizi (primo grado e Appello). Con l’accusa di riciclaggio aggravato di danaro per conto dei D’Amico furono condannati in Appello Scarano a cinque anni e tre mesi di reclusione e 5.000 euro di multa e la commercialista Tiziana Cascone a cinque mesi di reclusione e 200 euro di multa (la commercialista Cascone era difesa dall’avvocati Carmine Giovine e Agostino De Caro). Per entrambi gli imputati la sentenza di condanna della Corte di Appello è stata annullata. È stata dimostrata l’inesistenza del reato presupposto sia in relazione al reato di evasione commesso dagli esponenti della famiglia D’Amico che in relazione alla provenienza illecita delle somme erogate a Monsignore>.
Ma c’è stato un movimento di danaro tra D’Amico e Scarano.
Certo. Ma nello specifico è stato provato: che non vi fosse alcun superamento delle soglie di punibilità; che una parte delle somme proveniva, mediante movimenti leciti e tracciati, da conti personali dei D’Amico le cui dichiarazioni dei redditi acquisite certificavano il relativo pagamento delle imposte; che la residua parte delle somme proveniva da disponibilità su conti esteri, riconducibili alla famiglia D’Amico, anch’essi indicati nelle relative dichiarazioni dei redditi e, pertanto, di provenienza del tutto lecita>.
Più volte questi aspetti sono stati evidenziati nel corso dei giudizi di primo grado e di appello dagli avvocati difensori (Riziero Angeletti per Scarano e Agostino De Caro e Carmine Giovine per Cascone) oltre che sostenuti da un parere pro veritate (professore Carlo Longobardo) ed unitamente ai profili di legittimità proposti dalle difese, hanno certamente contribuito all’annullamento della sentenza di condanna della Corte di Appello di Salerno.
< Con la pubblicazione delle motivazioni della sentenza della Cassazione si potrà meglio comprendere quali elementi siano stati considerati determinanti ma, in ogni caso, non si può non esprimere soddisfazione per la pronuncia intervenuta>.
Ma lei è il consulente tecnico anche nel processo per evasione fiscale per Scarano.
<Il giudizio in esame, ancora in corso, ha come ipotesi accusatoria l’evasione di imposta IRPEF per gli anni dal 2010 al 2013 in relazione alle somme ricevute nel corso di tali anni dagli armatori D’Amico.
La relazione tecnica redatta ha evidenziato l’inesistenza del presupposto impositivo dimostrando la natura di liberalità delle somme erogate e, pertanto, non configurabili come redditi da assoggettare a tassazione. In ogni caso, la consulenza dimostra che non sussistono gli elementi costitutivi del reato tributario come configurato dalla normativa penale tributaria. Il giudizio è giunto al termine e se ne attende l’esito>.





