Alberto Cuomo
C’è una certa analogia tra Franco Alfieri che, malgrado gli arresti domiciliari, non voleva scollarsi dalla sedia di presidente provinciale, e Vincenzo De Luca il quale, sebbene la legge nazionale imponga ai presidenti regionali un massimo di due mandati, non intende schiodarsi dal suo comodo scranno, ritenendosi indispensabile nella gestione, per il vero fallimentare, della Regione. Il latino dimittere possiede due possibili significati. Infatti, da un lato, implica un’azione attiva nei confronti di qualcuno, il mandarlo via, il congedarlo, l’allontanarlo, dall’altro prevede un atto riflessivo, il rinunciare, l’abbandonare motu proprio un incarico. In questi sensi, Franco Alfieri, presidente della provincia di Salerno e sindaco di Capaccio, avrebbe potuto sia dimettersi dalle cariche ricoperte che essere dimesso da quanti lo hanno votato al più alto scranno provinciale. Pur nella consapevolezza che anche i magistrati sbagliano e che Alfieri è da ritenersi innocente sino ad una condanna definitiva con cui si accerti la sua eventuale colpevolezza nei reati che gli vengono ascritti in fase di indagine, era opportuno, all’atto delle gravi accuse, non più considerarlo primo cittadino di Capaccio (che oltretutto non è la sua città) e più alto rappresentante degli abitanti la provincia. Ciò perché in tali frangenti ne va della dignità delle istituzioni in cui si rappresentano i cittadini. Una dignità che vuole l’essere degno della carica rappresentativa cui si è eletti e che prevede la disgiunzione tra la persona e la carica. Vale a dire che si è degni di rappresentare, attraverso una carica pubblica, i cittadini se si tengono distanti la persona che è chiamata a rappresentare e la carica che rappresenta. Alfieri o altri, cioè, può essere o non essere persona dignitosa ma perché l’istituzione sia sempre degna – e deve esserlo – di riassumere in sé i cittadini è necessario non sia coinvolta nella dignità personale di chi ricopre la carica istituzionale, e se tale dignità viene messa in discussione, anche a torto, da parte della magistratura, sarebbe opportuno che le due dignità, personale e istituzionale, non si sovrappongano in modo da non far sorgere dubbi sul valore e la dignità della stessa istituzione. Ciò significa che se Alfieri avesse tenuto alla dignità dell’istituzione rappresentata, oltre che alla sua personale, si sarebbe dimesso, già all’arrivo della comunicazione di garanzia da presidente provinciale e, non avendolo fatto, ha dimostrato di non tenere alla dignità dell’istituto cui è stato eletto e, quindi, di non essere degno di rappresentarlo. Quanto ai suoi sostenitori, a loro volta, non avendo avvertito per circa quattro mesi la necessità di togliergli il sostegno e di dimetterlo, ovvero indurlo alle dimissioni, fa sicuramente ritenere che essi abbiano condiviso la sua scarsa considerazione degli istituti democratici. Opportunamente il senatore Antonio Misiani, responsabile di Economia e Finanze del Pd e commissario della federazione del partito in Campania, ha invitato da tempo il Pd salernitano a dimettere o far dimettere Alfieri, il quale finalmente, si è dimesso in queste ore. Misiani deve aver compreso che le mancate dimissioni del presidente della Provincia indagato avessero radici nello stesso partito, e basterebbe pensare alla lettera degli amministratori del Cilento in favore di Alfieri. Un indizio questo che lascia pensare all’eventualità di un partito democratico salernitano inquinato, chi sa, forse anche sul piano morale, ma principalmente su quello politico, essendo costituito da iscritti e quadri meglio propensi a tenere in piedi un sistema di potere che non ad offrire valori e servizi, ovvero un riferimento ai cittadini. Un partito tenuto in piedi da un cacicco e dai suoi vassalli, e tra gli altri lo stesso Piero De Luca, non a caso fatto fuori da Bonaccini quale rappresentante della sua corrente, pure avversa alla segreteria. Un partito fondato, più che sulla militanza, sulla clientela, finanche protettivo di chi deborda dalla legge come è nel caso del dottore Enrico Coscioni, il quale sospeso dal tribunale nelle sue funzioni di primario ha continuato ad essere presente al Ruggi, tanto da far richiedere dal giudice il divieto di dimora. Ed è forse perché si tenga unito il gruppo dei vassalli, valvassori e valvassini, nel quale ciascuno coltiva i propri interessi, che gli adepti fanno resistenza anche alle indicazioni giudiziarie, perché, passata la nottata si arrivi alle elezioni regionali dove allestire una lista persino in contrasto con il partito, il Pd di Elly Schlein, onde mantenere i privilegi. Di qui la necessità per il Pd, la coraggiosa segreteria che intende rinnovare i suoi quadri, di frantumare lo sclerotico apparato costruito da De Luca, come è nell’invito, del deputato europeo Sandro Ruotolo, ad iscriversi al partito per rinnovarlo, anche a costo di farlo deflagrare. Invero De Luca non sembra voler accettare di essere vecchio, di non essere adeguato ai tempi, circondandosi di vecchie e squallide cariatidi che non hanno spinte innovative anche se anagraficamente giovani. Per questo il suo “sistema” è finito, non per colpa della Schlein o di Ruotolo, ma perché non aggiornato alle necessità vere dell’oggi anche se egli si atteggia a leader nazionale, con le sue uscite su Gaza o la guerra in Ucraina, essendo invece solo uno stralunato “cacicco” locale che non si accorge dello sgretolamento del suo apparato tribale.





