di Antonio Manzo
Le città del Sele (Eboli e Battipaglia) da 52 anni sono senza un piano regolatore generale. Il record storico delle città, perfino impropriamente accostate in un toponimo elettoralistico, fa balzare sulla sedia. In ben 52 anni, il piano regolatore generale di entrambe le città è stato ripetutamente oggetto di incarichi di progettazione, pagati giustamente con svariate migliaia di euro fino a sfiorare e superare il milione, e sono rimasti chiusi nei cassetti degli enti se non addirittura fatti abortire da controverse vicende amministrative. Sia per Eboli che per Battipaglia si comincia nei primi anni Settanta del secolo scorso quando per entrambi i comuni fa redatto un piano regolatore generale firmato dagli ingegneri Renato Fuccella e Generoso Coraggio. Successivamente i due comuni hanno proceduto ma solo con gli incarichi di progettazione giustamente lautamente pagati: a Battipaglia con i tentativi di nuovi prg firmati dall’architetto Francesco Samperi nel 1999 (furono spesi 500mila euro), dall’ ingegnere Francesco Sabetti, dall’architetto Antonio Oliviero, e studio Mate di Bologna (85 mila euro). E’ l’ultima ipotesi, naturalmente revocata e mai approvata. Ad Eboli, invece, dopo il piano regolatore Fuccella, arriva l’architetto Francesco Capobianco, poi l’architetto Vezio De Lucia e, infine, due volte con l’ingegnere Roberto Gerundo, destinatario di due incarichi. Il prima ipotesi di puc (piano urbanistico comunale)fu rigettata dal consiglio comunale di Eboli e determinò anche lo scioglimento dell’allora assise cittadina nel 2009 (un motivo mai ufficialmente spiegato ma omertosamente coperto) e il secondo dall’amministrazione in carica del sindaco Mario Conte. Per gli incarichi progettuali di ipotesi di piano tutte fallite non vi sono cifre corrisposte neppure nell’albo pretorio del comune. Ma certamente si tratta cifre per migliaia di euro. Si tratta di storie urbane minori ma che fanno scoprire l’intelaiatura portante dell’Italia con una imperitura politica dell’illegalità urbana, spesso trasferite in mere questioni amministrative e giudiziarie (c’è l’eclatante esempio del piano regolatore Fuccella ritrovato nella villa sulla litoranea di Eboli del boss della camorra Pasquale Galasso). C’è un giudizio scientifico molto netto per Eboli riferite alla prima ipotesi Gerundo per Eboli e commentate sulle pagine blog di Politicamente. <Le scelte presentate nel preliminare di PUC non derivano da una visione coerente e partecipata dell’avvenire della città, delineata con chiarezza politica> secondo l’ingegnere Luigi Manzione, ebolitano, dottore di ricerca all’università di Parigi autore di numerosi studi sulle storie e geografie del periferico urbanistico. L’architetto Manzione commenta così il tentativo bocciato (2009) per il puc di Eboli del professor Gerundo, lo stesso reincaricato recentemente sempre ad Eboli. <C’è l’intento di ratificare l’esistente (progetti in corso di realizzazione o di approvazione) o di creare le condizioni per il dispiegarsi d’investimenti e interventi spesso in conflitto con i caratteri e le vocazioni del territorio, oltre che con i desiderata degli abitanti. Le modalità di coinvolgimento della cittadinanza nelle scelte di pianificazione sono state comunque lontane dallo slogan che aveva segnato, nelle parole degli autori, il piano fin dagli inizi: “un progetto di urbanistica partecipata”.> Il preliminare del piano urbanistico comunale fu la riproposizione letterale del piano strutturale comunale, con l’aggiunta degli elaborati richiesti (ma non tutti) dalla normativa regionale e di alcune decisioni specifiche. Ci vollero ben cinque anni dall’approvazione del PSC per portare a termine il preliminare di PUC dopo aver smantellato l’ufficio di piano, puntando a redigere e approvare in tempi ragionevoli i piani particolareggiati. La direzione intrapresa nel 2005 fu invece un’altra: elaborare un nuovo piano urbanistico comunale, coinvolgendo l’università di Salerno a garanzia di scientificità. Il gruppo di lavoro impostò lo studio all’insegna di un “progetto di urbanistica partecipata”. <L’intenzione – dice ancora l’ingegnere Luigi Manzione – era senz’altro lodevole, visto che il piano allora vigente costituiva uno strumento di riferimento per la disciplina urbanistica, fondato su un corpus analitico rigoroso, ma mostrava un punto debole sul terreno della partecipazione e del coinvolgimento effettivo della comunità nel processo di elaborazione. In altri termini, un piano culturalmente avanzato, ma la cui scelte non erano del tutto condivise dalla comunità. Dal 2005 Eboli ha vissuto di una sorta di sdoppiamento: da un lato, si costruiva un nuovo piano; dall’altro si continuavano a redigere gli strumenti attuativi – ad oggi, se non sbaglio, dieci dei venti previsti dal PRG – secondo il vecchio piano, con le immaginabili conseguenze in termini di coerenza delle trasformazioni urbanistiche. Questo doppio regime, di fatto, ha condotto a teorizzare la possibilità – del tutto irreale (o surreale) – di pianificare per varianti. Di fatto, pianificare per varianti è stata, almeno finora, e lo sarà verosimilmente fino all’approvazione del PUC, la sola strategia agibile in queste condizioni di incertezza strutturale. Ma, più che di urbanistica, si tratta di (stra)ordinaria amministrazione e conflitto permanente>. A ciò si può aggiungere – commenta Manzione – il paradosso, instaurato all’inizio della elaborazione del nuovo piano, di dichiarare superato il PRG, individuando subito strategie urbanistiche alternative, mentre nelle more della elaborazione del PUC si continuavano (e si continuano) a redigere i “vecchi” piani attuativi (a riprova del fatto che, senza strumenti di attuazione, il PRG era una specie di scatola vuota).