Porta Ovest, Cassazione boccia la Pica Ciamarra - Le Cronache Attualità
Attualità Salerno

Porta Ovest, Cassazione boccia la Pica Ciamarra

Porta Ovest, Cassazione boccia la Pica Ciamarra

di Erika Noschese

La Pica Ciamarra non ha diritto ad un maggior compenso professionale per l’incarico di progettazione preliminare dell’intervento “Salerno Porta Ovest”. È quanto stabilisce la Corte di Cassazione di Roma che, di fatto, ha respinto il ricorso presentato dal Raggruppamento Temporaneo di Professionisti “Pica Ciamarra Associati/PCAint s.r.l degli architetti Vincenzo Adinolfi e Francesco Alfano che hanno chiamato in causa l’Autorità Di Sistema Portuale del Mar Tirreno Centrale avverso la sentenza della Corte d’appello di Salerno del 26 maggio 2021. Nello specifico, la Pica Ciamarra associazioni chiedeva all’autorità portuale il pagamento della somma di 885.670,15 euro a titolo di maggior compenso professionale per l’incarico di progettazione preliminare dell’intervento “Salerno Porta Ovest”. Nel mese di giugno 2004 il Comune di Salerno e l’Autorità Portuale di Salerno hanno stipulato un Protocollo di Intesa, volto all’attuazione di interventi finalizzati a risolvere, o attenuare, le condizioni di forte criticità in cui versava la viabilità nella zona del porto di Salerno. Successivamente, a luglio 2007, il Ministero delle Infrastrutture, la Regione Campania, il Comune di Salerno e l’Autorità Portuale di Salerno hanno sottoscritto un “Protocollo di Intesa – Ambito Urbano e sistema dei trasporti Salerno Porta Ovest”, nell’ambito del quale l’Autorità Portuale di Salerno s’impegnava, tra l’altro, ad assumere le funzioni di soggetto attuatore degli interventi e a destinare il finanziamento ricevuto per l’affidamento dell’incarico di progettazione preliminare degli interventi in base agli esiti del Concorso Internazionale di Idee Ambito Urbano e Sistema dei Trasporti “Salerno Porta Ovest’”. Concorso vinto dal raggruppamento Temporaneo di Professionisti che hanno stipulato la convenzione con l’Autorità portuale per Porta Ovest per un importo pari a 99.022.000,00 euro senza incrementi, incrementi, ove le modifiche di progetto, rispetto alla proposta vincitrice del bando, non avessero comportato un aumento dei costi previsti superiore al 30%, mentre, nell’ipotesi di superamento di tale soglia, i progettisti avrebbero avuto diritto all’adeguamento del compenso; il Raggruppamento Temporaneo di Professionisti eseguiva le proprie obbligazioni, consegnando all’Autorità Portuale tutti i previsti elaborati progettuali, e il progetto preliminare veniva approvato da parte dell’Autorità Portuale di Salerno con delibera presidenziale 2008 cui seguiva, nel mese di marzo 2009, la stipula di una successiva convenzione, con la quale l’Autorità Portuale, affidando al ricorrente anche l’incarico per la progettazione definitiva, dava espressamente atto di aver approvato il progetto preliminare. Secondo la parte ricorrente, il progetto recava delle modifiche alla versione che aveva vinto il bando e tali variazioni comportavano un incremento dei costi che superava il 30% di quelli inizialmente previsti (da € 92.022.000,00 a € 187.000.000,00), facendo sorgere il diritto al maggior compenso. «In primo luogo, la Corte rilevava che non risultavano provate le modifiche progettuali, aggiungendo che le stesse non erano neppure indicate nel ricorso introduttivo. La stessa Corte evidenziava, poi, che l’art. 10 della convenzione per la progettazione definitiva del 1° stralcio dei lavori, firmata il 09/03/2009, prevedeva espressamente che il compenso per il progetto definitivo dovesse essere invariabile, a prescindere dall’importo complessivo dei lavori eventualmente variato – si legge nella sentenza della Cassazione – La medesima Corte rilevava che la deliberazione di approvazione dei lavori n. 150 del 31/10/2008 non conteneva alcun incarico professionale, né alcuna autorizzazione di spesa o impegno contabile, come invece avrebbe dovuto ove avesse concordato l’aumento del compenso per i progettisti, la cui esclusione era pure confermata dal fatto che, con la successiva delibera n. 152 del 31/10/2008, l’Autorità Portuale, considerato che i finanziamenti ottenuti non erano sufficienti per portare a termine la progettazione, aveva limitato l’intervento in sede di progettazione definitiva, rispetto al progetto preliminare, escludendo alcune opere (quale la demolizione del Viadotto Gatto) e fissando un compenso unico a favore dell’appellante di € 2.750.000,00 (interamente corrisposto)». Secondo la Corte d’appello, infatti, l’attività di progettazione preliminare non costituiva oggetto di uno specifico incarico e, pertanto, doveva ritenersi uno studio preliminare alla successiva progettazione definitiva. Di fatti, rispetto al mancato riconoscimento dei compensi dovuto per l’attività supplementare di progettazione preliminare, la Corte territoriale rilevava che vi era stata una prima bozza di convenzione del 4 marzo 2008, ove era previsto, all’art. 10, che tutte le modifiche rispetto a quanto previsto nella proposta ideativa vincitrice del concorso di idee che comportavano un aumento dei costi pari o inferiore al 30% dell’importo previsto dei lavori non facevano sorgere un aumento del compenso da corrispondere ai progettisti, con ciò significando, secondo la Corte, che non era possibile che eventuali modifiche dei costi potessero modificare – in ogni caso, ed a prescindere dalla soglia di valore – i compensi spettanti ai progettisti. Per il riconoscimento di un eventuale maggior compenso per la progettazione preliminare, ammissibile solo in caso di superamento della soglia del 30%, sarebbe, tuttavia, occorsa una specifica pattuizione scritta, avendo la suddetta clausola contrattuale previsto la soglia per il maggiore compenso, ma non stabilito la relativa entità. «Il giudice del gravame ha posto chiaramente a fondamento del rigetto dell’impugnazione l’assenza di forma scritta ad substantiam del titolo in virtù del quale era stato azionato il diritto di credito vantato. In particolare, nell’esaminare il secondo motivo di appello, la Corte di merito ha evidenziato quanto segue: “Inoltre, deve evidenziarsi che il requisito della forma scritta è richiesto non soltanto per la conclusione del contratto, ma anche per le eventuali modificazioni successive, che devono rivestire, a pena di nullità, la medesima forma del contratto originario, non potendo essere introdotte in via di mero fatto, con accordo tacitamente intervenuto tra le parti in epoca successiva o comunque mediante comportamenti concludenti, venendo altrimenti eluso il suddetto vincolo di forma” – si legge ancora nella sentenza – Più avanti, nella stessa motivazione della decisione, la medesima Corte ha ribadito che “del resto, per quanto sopra esposto, un’eventuale maggiorazione doveva essere espressamente prevista ed autorizzata dall’ente pubblico, non essendo possibile in alcun caso ricondurre una diversa volontà dell’ente ad un implicito riconoscimento di una maggiore spesa risalente ad una mera precedente deliberazione interna degli organi competenti, non riprodotta nella convenzione definitiva di affidamento dell’incarico, e considerata la necessità della forma scritta nella P.A. ad substantiam che, secondo le disposizioni in materia di contabilità degli enti pubblici, non consentirebbe alcuna liquidazione”».