di Alberto Cuomo
Il flop della scorsa incursione a Roma, per dirne quattro a Meloni e Fitto, senza essere ricevuto, la figuraccia dell’incontro con Giorgia a Caivano, la meschinità delle parole rivolte a don Patriciello, le inutili e continue accuse al governo che lo scavalca nel rapporto con Manfredi nel finanziare i progetti per Bagnoli, hanno sicuramente appannato l’immagine di De Luca. E se l’immagine, particolarmente per un politico, è il riflesso del valore dell’uomo, è indubbio che le azioni del presidente regionale sono in forte ribasso. D’altro canto, del progressivo calo della sua considerazione nell’immaginario dei cittadini è testimone il recente voto alle elezioni per il parlamento europeo che ha visto prevalere, per numero di consensi, anche nella città di Salerno, i candidati sostenuti da Elly Schlein rispetto a quelli sostenuti dal proprio entourage. Un ulteriore segno del declino di De Luca è il corrispondente tramonto del suo cerchio magico, non solo quello politico, il “sistema” come ormai viene detto, quanto quello costituito dai promotori delle attività collaterali, della cosiddetta cultura, che cultura non è se si sottopone, come si sottopone di fatto, alle logiche clientelari del potente di turno. Si ricorderà come la protesta di De Luca per il ritardo della erogazione, da parte del governo, dei fondi europei al Sud, quelli che in passato, secondo Giorgia Meloni, sarebbero stati indirizzati in Campania alla sagra del caciocavallo, vide l’immediata adesione di Claudio Gubitosi, quasi si trattasse di una eroica battaglia meridionalista e non una modesta questua utile anche alle tasche alimentate dal festival di Giffoni, una kermesse, diciamolo, alfine parassitaria, fatta di festose passerelle più che di film di formazione. E che del declino di De Luca soffrano anche le manifestazioni culturali è reso dal festival della letteratura che, anche quest’anno, invade implacabile la città storica scegliendo oculatamente i luoghi più puliti, senza denunciare il degrado che c’è invece all’intorno. L’edizione attuale, nel centenario della morte, è dedicata a Franz Kafka, e il riferimento all’illustre scrittore serve probabilmente per fare da schermo alla ipertrofica manifestazione, tale da essere confusionaria. Non che manchino volti e firme autorevoli, tra essi, Matteo Palumbo, Vincenzo Trione, Aldo Schiavone, Roberto Esposito, Marino Niola, ma anche molte delusioni, come è per Giulia Sissa, docente presso l’Università di Los Angeles (Ucla) che costringe la sua conoscenza dei classici in un una visione veterofemminista rivestita dalla moda attuale del fluid, o per Donatella Di Cesare che a sua volta riduce la sua frequentazione dei pensatori greci a visioni politiche di estrema sinistra ormai inattuali. E qui il difetto della manifestazione organizzata dalla signora Mainieri, che, priva di titoli culturali, adusa piuttosto ai corridoi della politica e delle amministrazioni pubbliche, pur affidandosi agli ottimi Gennaro Carillo e Paolo di Paolo, quali curatori, in una visione politico-burocratica aspira ad allargare il più possibile le relazioni, anche incongrue. Ed ecco che si annega Kafka, la letteratura, e quanto c’è di buono nella manifestazione, in un pot-pourri di scritture, recitazioni, ammiccamenti, in definitiva utili al “sovrano” il quale, tra i piccolo-piccolo-borghesi frequentatori del festival raccoglie gran parte dei suoi consensi. Ed è un tale assembramento di voci ad alta entropia a rendere il festival molto simile alle sagre paesane censurate dalla Meloni che fanno parte delle tre effe di Ferdinando di Borbone giunte sino a noi. Indicativa, oltretutto, della volontà di servire il principe, la presenza tra gli sponsor di imprenditori legati in qualche modo al sistema De Luca, là dove per allestire una tal sarabanda non sembra bastino i finanziamenti istituzionali di cui tuttavia, l’organizzatrice, non ha mai offerto nel corso degli anni rendicontazione pubblica. Peccato che De Luca si avvii al tramonto, legata come è a lui la signora Mainieri avrebbe potuto aspirare ad una qualche nomina, analoga a quella per dirigere il minculpop di passata memoria.