di Nicola Russomando
Domenica 19 maggio si sono concluse a Montevergine, santuario e abbazia benedettina, le celebrazioni per il nono centenario della fondazione del monastero, avvenuta ad opera di Guglielmo da Vercelli che sul Partenio individuò la meta definitiva del suo peregrinare. La celebrazione giubilare è stata preceduta da una lettera apostolica di papa Francesco che ha nominato suo inviato speciale per la chiusura del giubileo verginiano il cardinale Arrigo Miglio, assistito dall’abate di S. Paolo fuori le Mura in Roma d. Donato Ogliari e dall’abate di Casamari d. Loreto Camilli. Anche all’inizio di tali celebrazioni, un anno fa, il Papa aveva ritenuto opportuno individuare il suo inviato speciale nel cardinale Parolin, Segretario di Stato. Sin qui il tutto rientra nella particolare solennità di alcune celebrazioni centenarie per cui il presule direttamente interessato, nel caso l’abate Riccardo Guariglia, fa istanza alla S. Sede che sia nominato un “missus extraordinarius” perché agisca a nome del Romano Pontefice. Tuttavia, nell’ultima lettera si coglie una particolarità della sua formulazione che si connette ad una questione mai risolta definitivamente, legata com’è all’origine del dipinto della Madonna di Montevergine. La lettera di Francesco, redatta in solenne latino come si conviene in tali circostanze, distingue il volto della Vergine dalla sua immagine, quando scrive che a Montevergine “fermo e provvido resta il volto della Madre di Dio, dipinto su un’immagine molto antica”. Non ci sarebbe ragione di distinguere tra il volto e l’immagine della Vergine, se sulla questione non fosse intervenuta una studiosa di altissimo profilo, la professoressa Margherita Guarducci, morta quasi centenaria nel 1999. Tra l’altro questa studiosa aveva già identificato con evidenza scientifica le spoglie di S. Pietro, la cui ricognizione fu richiesta da Pio XII nel contesto degli scavi archeologici del sepolcreto romano sottostante la basilica di S. Pietro. La tesi della Guarducci si fonda sul presupposto che il volto della Madonna di Montevergine, iscritto su disco ligneo di tipo diverso rispetto al resto della pala che raffigura l’immagine della Vergine assisa in trono, sia in realtà l’Hodigitria di Costantinopoli, “Colei che indica la via”, una delle più antiche immagini di Maria, prodotta a seguito del Concilio di Efeso del 431 che proclamò la Madonna, “Theotokos”, Madre di Dio. La prova di ciò è in un’altra raffigurazione di Maria, ad encausto su tela di lino, venerata a Roma nella chiesa di S. Francesca Romana ai fori imperiali, realizzata con una tecnica particolarmente raffinata in uso presso la corte imperiale di Costantinopoli. L’immagine romana risulta esattamente speculare al volto di Montevergine, eseguita sull’impronta rovesciata, ottenuta per calco dell’originale. Se la Hodigitria di Costantinopoli fu commissionata nel 439 da Eudocia, moglie dell’imperatore Teodosio II e assunta ad archetipo delle icone di Maria, la sua riproduzione speculare fu portata a Roma negli stessi anni da Valentiniano III, imperatore d’Occidente. Le vicende che portarono alla caduta dell’impero latino d’Oriente nel 1261 sarebbero poi alla base del trafugamento dell’antica icona costantinopolitana, ricomposta poi in un’opera del XIII secolo attribuita a Montano d’Arezzo, pittore alla corte degli Angioini di Napoli. Ed è questa l’attribuzione sostenuta dai monaci di Montevergine, che non consentirono alla Guarducci neppure un esame diretto della pala e del suo disco ligneo, tesi riproposta più di recente anche dal restauro che ha ricollocato la pala nel suo contesto originario rimuovendola dall’altare della moderna basilica.La bolla papale di chiusura del giubileo di fondazione sembra riportare in auge la questione con la distinzione operata tra volto e immagine della Madonna di Montevergine. Margherita Guarducci avrebbe sicuramente plaudito alla formulazione, i monaci, invece, forti del loro convincimento, nella solenne lapide latina posta a commemorazione dell’evento menzionano “la veneranda immagine della Madre di Dio”, insignita da Francesco della rosa d’oro, un tempo massima onorificenza papale, oggi riservata solo ad atti di speciale venerazione nei confronti della Vergine. Tuttavia, le conclusioni cui pervenne la studiosa sono contenute in un suo documentato studio, pubblicato dal Poligrafico dello Stato. Riassuntivamente così concludeva: «A Montevergine rimane la testa autentica della Hodigìtria, se pure sotto il velo della pittura medievale; a Roma splende la medesima testa, nella copia fedele che subito ne fece, “in controparte”, un grande artista di Costantinopoli. Fra Oriente e Occidente si pone ora, quale prodigioso vincolo di pace, la più antica icona di Maria, che dell’Oriente e dell’Occidente ha ricevuto, per tanti secoli, la fervida preghiera». In tempi così foschi per la pace mondiale non sarà fuor di luogo questo ponte tra Oriente e Occidente, incarnato dalla più antica icona di Maria, creduta perduta da secoli, ma da sempre davanti agli sguardi dei fedeli campani con «quei grandi occhi dalla pupilla dipinta in nero, colore che – secondo i canoni dell’arte ellenistica – indica il limite della conoscenza. Quello di Maria non è uno sguardo rivolto all’esterno, ma è tutto interiore: attinge l’abisso dell’inconoscibile, in cui dimora la divinità, abisso che Lei sola vede».