di Aldo Primicerio
Partiamo dall’ultimo in ordine di tempo, Giovanni Toti. Un omone simpatico, dicono anche un buon governatore. Ma, stando almeno alle motivazioni sui domiciliari, un corruttore ed un corrotto. Dalle dichiarazioni farneticanti dell’imprenditore Spinelli (prima ammette, poi corregge, poi nega) esce fuori che, sì, i soldi sono stati dati alla politica. Ma tutto “in regola”, perché dietro c’erano le fatture. Vogliamo scherzare? Siamo idioti noi che scriviamo o quelli che fanno queste affermazioni o le scrivono? Soldi in cambio di appalti e di favori, però dietro fattura? E che significa? Se io, Giovanni, prendo i soldi ma in cambio di qualcosa, anche se dietro fattura, è sempre una tangente. “Il problema non è se i soldi ricevuti sono fatturati o no, ma se c’è una contropartita o no”. Lo scrive Piercamillo Davigo, ex-presidente della sez. Penale della Corte Suprema, oggi saggista, uno dei magistrati da me preferiti. Ed a Genova gli affari in discussione tra il presidente della Regione e gli imprenditori erano parecchi, e di rilevante valore economico.
La differenza tra lobbismo e corruzione. E si riparla di un ritorno al finanziamento pubblico dei partiti
Gli imprenditori dicono ai magistrati: siete in errore. Noi vogliamo solo sostenere la politica, che ha i suoi costi. “Dobbiamo capire la differenza – spiega Davigo. Per esempio, tra attività lobbistica e corruzione. Un imprenditore che fabbrica treni può legittimamente spendere soldi per convegni e attività volte a convincere i politici che il trasporto su rotaia è meglio di quello su gomma. Ma se invece paga il politico per far comprare i propri treni, allora non fa più lobbismo, ma corruzione”. Su qualche importante giornale si è anche scritto: Torniamo al finanziamento pubblico ai partiti. Certo, sarebbe meno peggio di ora che si corrompe e si è corrotti. Purché poi si controlli come vengono spesi i soldi pubblici distribuiti ai partiti. Qualche politico continua a dire anche oggi: “Sarebbero soldi nostri e ne facciamo quel che ci pare”. Chi lo dice è uno sciocco. I soldi, caro politico, non sono tuoi, ma nostri, dei contribuenti. Se qualche giornale e qualche tv criticassero di meno e sparlassero di meno dei magistrati, e se la prendessero invece con i ladri, sarebbe molto meglio.
Tra la malapolitica e una giustizia con le armi spuntate e perseguitata: ecco la via per governare impuniti
Gli ultimi vorticosi episodi di malapolitica, da Nord a Sud del Paese, sono il segno di quanto sia caduta in basso la politica oggi. Talmente in basso da attribuire (Renzi, Salvini, Nordio, poi anche la Meloni e persino Tajani che finora era stato tra i pochi lucidi) i problemi della giustizia a carico dei magistrati, i meno responsabili. La giustizia italiana ha tanti problemi. Il problema è la lentezza dei processi, soprattutto quelli civili, che causano il disastro di migliaia di contenziosi che stentano ad arrivare alla conclusione o non ci arrivano affatto, perché producono senso di impotenza e di sfiducia. e tutto questo accade per varie ragioni. La prima, ci sono troppi gradi processuali, per di più complicati dalla prescrizione che non si arresta a processo iniziato. Un’assurdità inventata dalla riforma Cartabia e poi dai rimestamenti di questo governo Meloni che, lo diremo più avanti, ha un’avversità genetica nei confronti di giustizia e magistratura. La seconda è la carenza di organico. Si fanno concorsi per 300 nuovi magistrati, ma ne servirebbero 500. Poi la transizione digitale, da cui la giustizia è solo sfiorata. E poi il nodo della separazione delle carriere, un tic nervoso che il ministro Nordio ha ereditato da Berlusconi, e che ha contagiato quelli (Salvini, Renzi ed altri) che di riffe o di raffe hanno avuto personalmente a che fare con le toghe. Lo scriviamo sempre, la separazione è un non-problema, perché ai diretti interessati non fa né caldo né freddo, se si leggono le percentuali di passaggio da un ramo all’altro di una carriera, che è unica. Bisogna farlo capire a chi è lento a capire. E qui verrebbe da chiedersi: perché mai questi giovani s’intestardiscono a volere fare i magistrati? A barcamenarsi tra concorsi di estrema complessità, un lavoro difficile, una vita spesso sotto scorta, il rischio di essere uccisi in servizio, l’onta di essere – da Pm – manovrati dal potere, le decisioni di una politica da quattro soldi di vedersi sottrarre i mezzi di investigazione o di essere sottoposti a test di idoneità per individuare eventuali “disturbati mentali”?
L’ultima trovata di Lollo e del governo Meloni: un decreto-caccia totalmente libero da regole. Un Far-West che fa dell’Italia la periferia di Orban. E poi i perché del premierato forse a rischio
E sì, perché è forse proprio da pazzi fare i magistrati in un Paese storto governato da una politica storta. La sapete l’ultima stortura? L’inserimento nell’ultimo decreto agricoltura di una proposta che praticamente liberalizza la caccia, elimina ogni regola, dà via libera ai bracconieri, cancella ogni presunto ostuzionismo alla distruzione di uccelli ed animali selvatici. Un’invenzione della Lega, accompagnata dall’ennesima inadeguatezza di Lollo, non la Gina ma il cognato d’Italia, il Francesco nazionale. Si potrà sparare nei parchi e nelle aree urbane. Le associazioni ambientaliste (e i giudici amministrativi) non potranno più rilevare le irregolarità – che si consumano ogni anno – delle singole Regioni, che stabiliranno le forme e i modi della stagione venatoria senza più dover rispettare le indicazioni scientifiche dell’Ispra. Niente più sanzioni per chi sparerà in un fondo chiuso e/o al di fuori della stagione venatoria, via libera ai richiami vivi. Sarà un nuovo Far-West, il sogno forse di una minoranza di criminali (lo sono quelli che sparano all’impazzata dovunque e senza regole) tra i circa 500mila cacciatori, tra i quali sicuramente ci sono persone per bene e responsabili, ma che avvertiranno l’ebbrezza di una libertà assoluta.
Ma…c’è un ma. Il ricorso alla Cedu, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, presentato da Mario Staderini, ex-segretario dei radicali, forte di una petizione di 500 cittadini contro il Rosatellum,la legge elettorale vigente in Italia. Una legge assurda, sbagliata, considerata illegale perché impedisce il voto disgiunto attribuendo quello espresso nel maggioritario anche alla lista o coalizione del proporzionale. La Cedu l’ha iscritta a ruolo per tre questioni: l’instabilità del sistema elettorale, le negazione della libertà di voto per l’impossibilità del voto disgiunto. La sentenza entro l’anno. In caso di condanna la Meloni dovrà metter mano alla legge elettorale e, forse, dire addio, o comunque rinviarlo sine die, al sogno del premierato.