Le premesse ci sono tutte per discutere delle radici della democrazia italiana partendo dal tragico avvenimento dell’uccisione di Giacomo Matteotti per mano di sicari fascisti giusto un secolo fa. Stasera lo faranno, con tratto originale e garantita competenza, Massimiliano Amato, condirettore della storica rivista socialista “Critica sociale”, la giornalista Luciana Libero, lo storico dell’università del Molise Giovanni Cerchia, con letture di Carla Avarista e Pasquale De Cristofaro accompagnate dall’intervento musicale di Alessandro Tedesco e Luigi Vernieri. L’appuntamento è per le 19 presso il Piccolo Teatro di Porta Catena a Salerno. Le premesse, si diceva, ci sono tutte e sono anche incoraggianti tenuto conto che già la nota di accompagnamento e di presentazione dell’evento politico-culturale si è distinta per un dettaglio originale: nessun riferimento all’attualità, zero rimandi isterici, nonché comici, al “fascismo che avanza” incarnato dalla maggioranza politica guidata da Giorgia Meloni, nessun allarme democratico e nessuna denuncia dell’ipossia civile causata da non meglio o fin troppo precisati rigurgiti fascisti. Insomma, non v’è traccia dello scemenzaio tipico, aere perennius, del contemporaneo universo politico e culturale di verosimile riferimento dei protagonisti della serata salernitana, pensata a cento anni di distanza in onore del primo martire vero di quella follia anti-umana che ipnotizzò l’Italia e abbagliò fior di menti sequestrando cervelli e corpi di mezza Europa. Poi, quando tutto finì, ci si fece abbagliare da qualcos’altro, di natura speculare, ma questa ora è un’altra storia. L’originalità dell’approccio argomentativo dell’iniziativa in memoria di Matteotti si fonde, quindi, con questa estraneità alla gnagnera ricorrente che disegna scenari «pulp» di imminente restaurazione dittatoriale, pur dinanzi a un quadro oggettivo della società attuale caratterizzato, semmai, da una contraria «anarchia» generalizzata: qui c’è la “Fondazione Matteotti”, c’è “Critica sociale”, piaccia o meno (e senza dimenticare che, in tema di sistemi e strutture globali, già c’era da qualche decennio la “Rerum novarum” di Leone XIII) ma è un nome e una storia in sé certificati, c’è il cromosoma di giganti come Turati e Kuliscioff, difficile immaginare che certa eredità possa essere umiliata dal circo equestre offertoci, da qualche decennio, dai protagonisti attuali dello stesso spazio politico e culturale. Matteotti fu personaggio che, grazie forse anche ad una intransigenza strutturale mai fanatica (sebbene qualcuno lo accusasse al tempo anche di questo), non smarrì il principio fondativo di tutto l’agire politico – era uomo d’azione, si sa – cioè il rispetto del principio di realtà: sapeva che il fascismo era una cosa schifosa, et pour cause, ma il rigore e la lucidità delle sue analisi unite ad una dose di coraggio fuori portata, consentirono al veneto e a pochi altri di sottrarsi alle suggestioni quasi religiose di quel vasto mondo “di sinistra” di inizio 900 e produttive di nuovi mostri, peraltro longevi, immaginando e sostenendo con chiarezza che fosse impossibile conciliare il fascismo non con la politica e la società ma con la vita stessa e il suo significato. E aveva ragione. Conservare e valorizzare, anche attraverso la discussione e l’intrattenimento di stasera, il nervo che regolava la capacità d’analisi, seppur dal punto di vista «socialista», di ciò che veramente si muoveva nella società, ha un prezzo che non include l’opzione di uno sconto: la realtà è la realtà, come una rosa è una rosa è una rosa, diciamo, e il “caso Matteotti” parla a noi oggi come allora. E ha la testa dura. p.r.
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