La Preside Renata Florimonte del Sabatini-Menna: Povertà linguistica, occorre intervenire - Le Cronache
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La Preside Renata Florimonte del Sabatini-Menna: Povertà linguistica, occorre intervenire

La Preside Renata Florimonte del Sabatini-Menna: Povertà linguistica, occorre intervenire

di Matteo Gallo

Le pagine del romanzo professionale di Renata Florimonte sono tenute insieme dal filo della passione per la storia. Una rilegatura che la preside del liceo artistico Sabatini-Menna  ha costruito con una tesi di laurea in storia contemporanea all’Università di Salerno e un dottorato in storia economica e sociale all’Ateneo di Napoli. Folgorata sulla via dello studio e dell’analisi delle società del passato, il seme dell’amore per l’insegnamento e la direzione scolastica è fiorito in lei grazie a due incontri. Improvvisi e potenti. Decisivi. Il primo con il professore di storia moderna Romeo De Maio, colui il quale «mi ha trasferito la passione per le fonti, la ricerca e soprattutto per la docenza». Il secondo con il preside Donato Menotti, allora timoniere dell’istituto di istruzione superiore Basilio Focaccia, «dal quale ho appreso una cosa fondamentale: chi guida una scuola può e soprattutto deve mettere sempre al centro della propria azione lo studente».

Preside Florimonte, il suo impegno nel e per l’Istituzione scolastica viene da lontano. Qual è, secondo lei, lo stato di salute attuale della scuola pubblica italiana?
«Il sistema formativo italiano – scolastico e universitario insieme – forma adeguatamente. E’ il sistema-Italia a essere incapace di valorizzare il lavoro dell’istituzione scolastica. Pensiamo alla ‘fuga di cervelli’ dalla nostra nazione, non certamente figlia del caso. Da questo punto di vista è particolarmente prezioso il recente studio “Io sono cultura 2023” condotto da Fondazione Symbola e Unioncamere» .

Cosa emerge da questo studio?
«Il settore culturale e creativo è quello trainante in tutto il mondo. Una piena valorizzazione del made in italy, inteso non solo come cibo e moda ma quale patrimonio artistico, culturale e paesaggistico, può diventare la vera leva strategica dello sviluppo economico e produttivo della nostra nazione e consentire così, alle nuove generazioni, di studiare, formarsi e costruire un dignitoso progetto di vita senza andare altrove. Stiamo parlando dell’Italia della bellezza e della qualità, dei luoghi incantevoli e unici, di uno straordinario capitale naturale e umano che non chiede altro di esprimersi al massimo delle proprie potenzialità. Inoltre, se posso aggiungere…» 

Certo, aggiunga pure.
«Non dobbiamo mai dimenticare uno dei principali punti di forza della scuola pubblica italiana che è la capacità inclusiva. Mi riferisco agli studenti con bisogni educativi speciali. Nella civilissima Inghilterra, così come nella virtuosa Finlandia, questi studenti vengono lasciati fuori dal sistema d’istruzione  pubblico. In Italia questo non accade. Siamo un un modello di riferimento». 

Nuove generazioni. Dal suo osservatorio – senza dubbio privilegiato – i ragazzi di oggi in cosa sono più forti e in cosa, invece, più fragili rispetto a chi li ha preceduti?
«Sono più forti nell’apertura mentale e nella capacità di leggere la realtà senza stereotipi.  Allo stesso tempo sono più fragili sul piano emotivo e affettivo». 

Lei come se lo spiega?
«Hanno un rapporto deficitario con la propria interiorità e sono incapaci di riconoscere, comprendere, consapevolizzare i sentimenti che provano. Non riescono purtroppo a  restare in contatto col sé più profondo. L’attuale emergenza educativa nasce proprio da una condizione di analfabetismo emotivo che bisogna fronteggiare con un importante lavoro di squadra. Il processo di educazione ai valori, che non è un innatismo, deve essere svolto dai genitori all’interno della famiglia e successivamente dalla scuola in una forte alleanza educativa».   

Qual è la strada maestra per realizzare questa alleanza?
«E’ un’alleanza sempre più necessaria. Famiglia e scuola dovrebbero stabilire, nel rispetto dei diversi ma complementari ruoli,  un dialogo realmente effettivo. Da parte dei genitori sarebbe da evitare un atteggiamento iperprotettivo che preclude l’accoglienza di eventuali comportamenti ‘inediti’ da parte dei figli a scuola. Mi riferisco alla manifestazione di parti del proprio essere che a casa potrebbero non rivelare. L’adolescenza è una stagione di profonda e intensa sperimentazione nella quale i ragazzi vivono un forte desiderio di affermazione del sé».  

Al Governo si discute con sempre più insistenza dell’ipotesi di introdurre, all’interno piano di studi scolastico, l’educazione ai sentimenti. Cosa ne pensa?
«E’ la dimensione formativa delle discipline che può aiutare a sviluppare nelle giovani generazioni una dimensione valoriale basata sulla cultura del rispetto dell’altro e della libertà di espressione di ciascuno».  

Il processo di impoverimento del linguaggio giovanile – accelerato dallo sfrenato utilizzo degli smartphone, dall’informalità delle chat e dai ridottissimi registri linguistici ammessi nella rete – appare in fase avanzata. Ritiene che la scuola debba occuparsene con percorsi specifici, naturalmente da integrare nel piano didattico, destinati alla scoperta di nuove parole, di sinonimi e più in generale all’arricchimento del lessico?  

 «Assolutamente sì. Diceva Croce: parlare non è pensare logicamente ma pensare logicamente è insieme anche parlare. L’impoverimento lessicale mina alla base la costituzione identitaria dell’individuo e la sua capacità di muoversi nel mondo da cittadino attivo».

Capitolo autonomia scolastica. Tra gli effetti prodotti c’è anche una marcata competizione tra istituti. Un bene o un male?
«La moltiplicazione dell’offerta formativa e degli indirizzi produce disorientamento tra i giovani che, invece, avrebbero bisogno di opportunità chiare  per scegliere  insieme alle famiglie il percorso didattico più idoneo dopo il primo ciclo di studi. In un certo senso la scuola ha mutuato dal mercato economico logica e dinamiche peggiori. Questo non giova alle comunità scolastiche, agli studenti e alle famiglie». 

Il rapporto con i nuovi canali di comunicazione investe direttamente anche il mondo della scuola. Mi riferisco in particolare ai social network e alla presenza su queste piattaforme di docenti e dirigenti.
«La normativa dello scorso luglio disciplina in modo opportuno il comportamento dei dipendenti pubblici anche in riferimento all’utilizzo dei social media. Queste regole vanno semplicemente applicate nella realtà e radicate nella cultura dei comportamenti.  Nello specifico dei social network e delle piattaforme di messaggistica istantanea, come whatsapp ad esempio, considero assolutamente da evitare qualsiasi forma di relazione-comunicazione non richiesta tra studenti e docenti così come tra docenti e genitori. Per queste cose vanno utilizzati i canali istituzionali».  

Intelligenza artificiale e digitalizzazione: anche la scuola è chiamata ad “abitare” un tempo nuovo. Una vera e propria sfida dell’innovazione per dare agli studenti le chiavi di lettura del futuro. A che punto siamo?
«La tecnologia può realizzare un importante ponte comunicativo tra docente e studente. In ambito scolastico viene sempre accompagnata dal percorso didattico integrandosi al percorso di apprendimento su base pedagogica. Oggi  i ragazzi non apprendono più per astrazione ma per immersione, e questo avviene mediante codici nuovi, specifici e diversi dal passato. Questo è un dato da cui bisogna partire per stabilire le relazioni giuste. A scuola si deve affermare, attraverso la pratica dell’insegnamento mediata dal docente che ne facilita i processi di apprendimento, un uso sapiente della tecnologia. Corretto, consapevole e responsabile. Innanzitutto rispettoso di se stessi e degli altri».