Nell’occasione della presentazione dell’iniziativa della realizzazione del museo di Mamma Lucia tenutasi a Palazzo di Città nell’ottobre del 2021, era stato invitato a Cava il vicedirettore dell’Istituto di Studi Germanici in Roma, Lutz Klinkammer, autore di numerosi saggi storici, che nella circostanza aveva potuto effettuare una ricognizione sui luoghi del territorio cavese in cui Mamma Lucia recuperò le prime 12 salme dei soldati della Wermacht, in particolare alla grotta della Serra ed al Castello di S. Adiutore, dalla quale l’accademico aveva potuto anche ricavare utili elementi per la prosecuzione delle sue ricerche storiche sugli avvenimenti bellici del settembre del 1943 svoltisi sul nostro territorio. Al riguardo, colsi l’occasione per conoscerlo di persona e fare con lui una breve, piacevole chiacchierata su alcuni degli argomenti che costituivano il suo libro dal titolo “L’Occupazione Tedesca in Italia. 1943-1945”, che avevo letto con grande interesse e di cui mi autografò con dedica anche una copia. Nell’ottantesimo anniversario di quegli avvenimenti appare opportuno approfondire alcuni aspetti delle vicende di quei drammatici giorni e delle conseguenze che ebbero per il nostro paese sul prosieguo della guerra, prendendo spunto anche dai temi e dagli interrogativi suscitati dal summenzionato testo del professore, perché trattasi di questioni ancor oggi non appurate e oggetto di grande interesse per i lettori de Le Cronache. Questioni della nostra storia recente rimaste impregiudicate sulle quali sussistono ancora ampie ombre e reticenze motivate dal timore di molti ricercatori di irritare taluni ambienti che sono da sempre guardinghi al fine di evitare di rimettere in discussione le verità rivelate dei santuari resistenziali nostrani su quel triste periodo che visse il nostro paese, (come se la stagione “revisionista” inaugurata dal De Felice negli anni sessanta e tanto avversata nei settanta fosse stata relegata nel dimenticatoio, anche se “fare storia significa sempre rivedere criticamente le narrazioni e le analisi precedenti…la critica storica è sempre per definizione revisionista” come scrive Gian Enrico Rusconi) ambienti pervicacemente impegnati a difendere una vulgata intoccabile ed indiscutibile per impedire di far crollare un impianto storiografico che ha indottrinato le coscienze di intere generazioni, modellandone il sentire e non consentendo a quelle più giovani di costituirsi un pensiero il più oggettivo possibile su quei fatti, anche nell’ottica di un’auspicabile pacificazione nazionale. Proprio partendo dalla visita ai luoghi in cui mamma Lucia cominciò la sua opera misericordiosa, attraverso una ricognizione del territorio teatro di guerra è possibile ricavare significative impressioni sugli avvenimenti di quei giorni del settembre 1943. La visita effettuata alla grotta della Serra dove mamma Lucia recuperò le prime dodici salme dei soldati tedeschi caduti nell’adempimento del loro dovere nel settembre 1943 di dura e disperata resistenza ed a quella al castello di S. Adiutore da dove si può avere un quadro sinottico dalla vallata metelliana fino al mare, è suscettiva di sensazioni ed emozioni per farsi un’idea sulla c.d.“battaglia di Cava”, gli scontri e la strenua difesa che i tedeschi opposero al tentativo di sfondamento degli alleati sbarcati a Salerno e sugli effetti che la stessa ebbe sullo sviluppo e sugli esiti della seconda guerra mondiale. L’istituzione del comitato figli di Mamma Lucia e la sua meritoria iniziativa della creazione del museo di Mamma Lucia rappresentano il giusto riconoscimento che Cava ha attribuito ad una umile donna che seppe farsi ambasciatrice di pace in quel periodo storico. Non appare inopportuno ricordare che mentre gli inglesi avevano provveduto a raccogliere i loro morti per dargli adeguata sepoltura, giacevano invece abbandonati i cadaveri decomposti dei soldati tedeschi, e che fino a dopo un anno e mezzo dalla fine delle operazioni belliche a Cava nessuno aveva ancora preso iniziative per quei poveri resti. Proprio con questo spirito mamma Lucia agì ed è questo il precipuo significato che deve conferirsi alla sua opera misericordiosa di recupero delle salme dei militari germanici caduti in terra straniera, e cioè che non debbono esistere discriminazioni tra i caduti, che dopo la morte non c’è il rogo. Questo aspetto dell’opera di mamma Lucia viene ad essere evidenziato nel fondamentale testo, ricchissimo di informazioni e materiale fotografico, del compianto dr. Raffaele Senatore (per me, zio Lello, per la parentela esistente con mia madre) sulla figura e le imprese della benemerita cittadina cavese, dal titolo “Mamma Lucia- L’Epopea di una madre- Mutter den Gefallenen”. Il dr. Senatore, scavando nel registro delle inumazioni anno 1944 dell’archivio storico del cimitero di Cava de’Tirreni al riguardo dell’individuazione di un soldato tedesco ucciso a Pregiato scriveva che (pag.66) “La registrazione dell’inumazione al cimitero presenta, infine, un’annotazione che rispecchia i sentimenti di ammirazione e rispetto che all’epoca caratterizzavano i rapporti italo- tedeschi, in barba all’armistizio. Infatti, nello spazio riservato alle note è testualmente annotato: Alcuni Cav. d’Italia rendono gli onori al valore delle armi e posero una croce”. Ed ancora a pag.148 il dr. Senatore nel suo documentatissimo ed intellettualmente onesto libro scriveva che ”…le truppe tedesche non si macchiarono solo delle efferate nefandezze, delle imperdonabili rappresaglie e delle stragi di massa che insanguinarono soprattutto le zone dell’Appennino tosco-emiliano, ma, fino all’otto settembre 1943 portarono rispetto alle popolazioni italiane, al punto da familiarizzare ed essere accolti con amicizia e amore”. E allora la domanda sorge spontanea: al di là di tutte le riserve che i tedeschi avevano nei confronti dell’efficienza dell’esercito italiano, e dell’inaffidabilità degli italiani a restare fedeli alleati, ed anche se i comandi germanici erano già preparati ad agosto 1943 alla capitolazione italiana, possiamo dire che fu l’8 settembre (con l’armistizio ed il ripudio dell’alleanza con la Germania, con il quale i tedeschi diventavano nemici-anche se formalmente il “Patto d’Acciaio”rimase in forza nonostante l’occupazione e non venne denunziato- cioè non il fatto che gli italiani si siano arresi, ma che siano passati da un campo all’altro del fronte di guerra perché le sorti del conflitto sono diventate avverse), a scatenare il risentimento che porterà prima all’internamento in Germania ed in Polonia di circa 700000 militari italiani e poi alla spietata repressione nei confronti dei soldati italiani che opposero resistenza (l’episodio più truce il tremendo eccidio di Cefalonia dei militi della Divisione Acqui del Gen. Gandin, tra i quali perì anche il fratello della mia nonna paterna, il tenente Crescenzo Casaburi, il cui corpo non fu mai ritrovato, ricostruito nei suoi aspetti più controversi ed ambigui di “primo atto della resistenza italiana” di recente da Elena Aga Rossi in“Cefalonia. La resistenza, il mito, l’eccidio” ma prima ancora narrato nel memorabile “Bandiera Bianca a Cefalonia” di Marcello Venturi). Con riferimento al testo del Klinkammer “L’occupazione tedesca in Italia”, innovativo ed originale, lo storico introduce l’interessante categoria di policrazia nazionalsocialista per spiegare la politica dell’occupazione: infatti scrive “…le tradizionali strutture del potere statuale vennero sempre più sconvolte e lasciarono il posto ad una forma di potere policratica, specificamente nazionalsocialista, contrassegnata da permanenti conflitti di competenza e di potere fra i vari dirigenti”: Questo significa, se non semplifichiamo troppo brutalmente, che non tutte le decisioni assunte sul campo in quel periodo possono essere ascritte agli ordini superiori del Fuhrer. Al riguardo sembra comunque rilevante riportare anche il parere contrario di Ernst Nolte storico e filosofo autore del controverso “Nazionalsocialismo e Bolscevismo. La guerra civile europea 1917-1945” in cui lo sterminio razziale nazista è stato posto in parallelo allo sterminio di classe bolscevico e dove si è individuata la genesi del nazionalsocialismo nella reazione al bolscevismo russo: “Nella realtà di fatto tra i vari capi del partito e dei singoli organi si scatenò una lotta accanita per partecipare al potere dello Stato ed anche qui si produsse una coesistenza caotica di pretese e di competenze…
Francesco Cuoco
(I puntata)
Essa però non equivaleva in alcun modo ad una policrazia, dato che non ci fu mai il minimo dubbio su chi avesse da prendere le decisioni veramente importanti. Una certa confusione fu esplicitamente favorita dallo stesso Hitler…” Il concetto di cui sopra introdotto dal Klinkammer appare pertanto interessante riguardo pure al triste episodio di via Rasella del marzo 1944 che portò alla feroce rappresaglia delle Fosse Ardeatine, l’attentato (che fece anche vittime civili) al battaglione Bozen formato da…riservisti altoatesini che aveva solo compiti di polizia e che creò una spaccatura nella resistenza, con i Gap comunisti autori dell’attentato isolati dal resto delle altre componenti resistenziali, in disaccordo sulla sua effettuazione in quanto avrebbe comportato (ma nella logica leninista del ricorso alla violenza ritenuta come necessaria, mirabilmente descritta da Carl Schmitt nel suo “Teoria del partigiano”), come in effetti avvenne in assenza della cattura dei responsabili, solo la spietata rappresaglia tedesca sulla popolazione civile, per capire se è effettivamente ascrivibile al Fuhrer la decisione della durissima reazione oppure, nell’ambito del concetto di policrazia nazionalsocialista di cui sopra, la rappresaglia fu decisa in quei termini in altri luoghi del potere nazista. Anche sul concetto di nazifascismo il Klinkammer (citando anche il meritorio lavoro di Claudio Pavone- “Una guerra civile. Saggio sulla moralità nella resistenza”- primo storico di sinistra ad aver soltanto nel 1991 messo in discussione il concetto agiografico di “guerra di liberazione” per descrivere le lotte interne italiane del 1943-1945 -che aveva dominato nella storiografia del dopoguerra per decenni- per riconoscere quello di “guerra civile”), scrive che “i fascisti italiani per i loro obiettivi e le loro azioni furono erroneamente considerati una cosa sola con gli organi di occupazione. Tale identificazione diede addirittura origine a una specifica concettualizzazione nella letteratura e nella storiografia del dopoguerra, che definì “nazifascisti” i fascisti e gli occupanti considerandoli identici”, lasciando intendere che il concetto di nazifascismo, utilizzato avventatamente dagli storici e divenuto poi comodo luogo comune, non possa essere ritenuto storiograficamente esatto. Inoltre, sempre nel libro sopracitato, differentemente dalla vulgata prevalsa nel dopoguerra, Klinkammer scrive che “Soltanto a partire dagli anni ottanta la ricerca scientifica sul fascismo di Salò è stata posta su nuove basi” e che “fino ad oggi la ricerca italiana è stata influenzata da una visione un po’ contraddittoria” al riguardo. “Infatti, da un lato il fascismo degli anni 1943-1945 venne demonizzato a causa del suo potenziale di repressione, dall’altro nell’uso linguistico venne addirittura minimizzato”. E citando ancora Claudio Pavone, scrive che “questo disprezzo…questo modo di vedere è stato messo fortemente in discussione dal saggio di Claudio Pavone che prende le mosse dal fatto che la Repubblica Sociale italiana non rappresentò affatto un governo ombra privo d’importanza”, facendone logicamente conseguire che Hitler contava molto sull’istituzione di un governo fascista in alta Italia e che quindi la RSI non poteva essere considerata meramente un governo fantoccio, come si è voluta farla passare nell’immaginario collettivo. E tenuto conto che in linea con il suo concetto dell’alleato occupato Klinkammer sostiene che“tra i paesi occupati dai tedeschi l’Italia può essere considerato un caso particolare…ebbe un’importanza non indifferente il fatto che esistesse un regime fascista il quale continuò la guerra contro gli alleati a fianco dei tedeschi…essa non fece parte degli Stati che correvano il rischio di essere annessi nell’ambito dei piani della Grande Germania per il nuovo ordine…ciò fu del resto, non ultima, la conseguenza della collaborazione tra amministrazione tedesca di controllo e governo della Repubblica Sociale Italiana”, possiamo correttamente dire che la RSI (che lo storico tedesco definisce come “un fenomeno non marginale e che riuscì a mobilitare una parte considerevole della popolazione, e la cui strategia del consenso rappresentava per gli antifascisti un pericolo sul piano politico, tanto che la direzione del partito comunista ritenne necessario far assassinare un filosofo come Giovanni Gentile, il cui appello avrebbe potuto essere bene accolto”) oltre che rappresentare un’Italia diversa da quella che aveva tradito costituì l’usbergo dietro il quale furono evitate al nostro paese conseguenze ben più gravi e dolorose derivanti dal risentimento tedesco per il vergognoso revirement dell’8 settembre. Con riferimento alla stessa composizione delle bande partigiane, ed alla nascita del movimento partigiano, Klinkammer scrive che ”fu innanzitutto la logica conseguenza del tentativo tedesco di sfruttare il paese ai fini della condotta della guerra…ma coincise anche con il disarmo e la cattura da parte delle truppe tedesche di unità dell’esercito italiano. Del resto, la base numericamente più ampia di reclutamento per il movimento partigiano fu inizialmente costituita dai soldati dell’esercito italiano che erano sfuggiti alla deportazione nel Reich…la seconda base di reclutamento fu costituita da prigionieri di guerra alleati e jugoslavi che fuggirono dai campi di prigionia…la terza area di reclutamento…consistette in un numero relativamente piccolo di antifascisti politicamente coscienti…il quarto gruppo di resistenti fu dovuto agli sforzi del governo fascista di chiamare alle armi i giovani abili rimasti…la fuga sui monti spesso era dovuta soltanto al proposito di sottrarsi alla richiesta della potenza occupante e non alla volontà di combattere una guerriglia senza compromessi”…ed inoltre” I fascisti non ignoravano le contraddizioni interne e l’eterogenea composizione del movimento partigiano…” Riguardo alle iniziative politiche prese dal governo fascista di Salò per risolvere il problema dei partigiani, quali le amnistie con le quali si consentiva agli stessi entro un termine di scendere dalle montagne senza timore di incorrere in pene, ed ai tentativi di riconciliazione nazionale posti in essere anche attraverso filosofi come Giovanni Gentile e giornalisti come Pettinato, Pini etc, questo tentativo di pacificazione fallì perché in seno al movimento partigiano la componente comunista, pur essendo minoranza, ne divenne egemone con metodi violenti nei confronti delle altre componenti (emblematica la strage alla malga di Porzus dei resistenti “bianchi” della Brigata Osoppo guidati dal comandante Francesco De Gregori “Bolla”, in cui perì anche il fratello minore di Pasolini, operata da parte dei gappisti comunisti del criminale Mario Toffanin “Giacca”, poi condannato all’ergastolo e fatto fuggire in Jugoslavia dai dirigenti del PCI, quegli stessi che avevano già deciso di far confluire le bande comuniste organicamente nel IX Corpus Sloveno e che avrebbero consentito alla Jugoslavia di Tito di annettersi Trieste e Gorizia) volgendolo verso una opposizione irriducibile ispirata, come ha scritto il compianto Giampaolo Pansa, dalla lotta di classe e dall’obiettivo politico della dittatura del proletariato, a guerra finita. E, come il Klinkammer riporta, nelle misure di pacificazione del governo della RSI rientrava anche la socializzazione, il provvedimento del governo fascista che prevedeva la statalizzazione di determinate imprese e la partecipazione degli operai alla gestione ed agli utili delle aziende, che però si scontrò con l’aperto dissenso dei rappresentanti nazionalsocialisti in Italia che mosse gli organismi tedeschi ad ostacolare l’applicazione del decreto di socializzazione. Anche relativamente alle “Quattro giornate di Napoli”, raccontate dalla storiografia resistenziale (ed esaltate dalla pellicola di Nanny Loi), sulla quale effettiva esistenza da destra sono stati avanzati forti dubbi (anzi Enzo Erra nega recisamente che siano avvenute, titolando esplicitamente il suo saggio “Napoli 1943. Le quattro giornate che non ci furono”) nessuna certezza si ha sull’esatta portata di quegli avvenimenti, tenuto conto che sembra potersi evincere che si trattò, come scrive lo storico tedesco, di scontri avvenuti sul ripiegamento delle truppe tedesche che furono provocati dalle “misure di distruzione, saccheggio e rastrellamento della Wermacht” che intendeva fare terra bruciata all’avanzata degli alleati. “Allorchè il mattino del 27 (settembre) fu dato l’avvio alla caccia all’uomo nella città di Napoli, che consentì di catturare e portar via centinaia di uomini, la cui sorte era del tutto incerta, ciò dovette apparire estremamente minaccioso alla popolazione…La rivolta ebbe ripercussioni sui tempi del ripiegamento tedesco…in ogni caso fu possibile soltanto perché le truppe alleate erano già nelle vicinanze….Su questa tematica manca ancora una storiografia soddisfacente; i contributi esistenti sono dovuti per lo più a protagonisti e hanno meramente il valore di letteratura dei ricordi.”
Con riferimento alle criminali stragi della popolazione civile (che i tedeschi sospettavano complice e che come Klinkammer scrive avevano tentato di dissuadere ammonendola rendendo noto che nel caso di collaborazione con le bande partigiane sarebbero state prese le più dure contromisure) avvenute in particolare sull’appennino tosco-emiliano, Marzabotto e S. Anna di Stazzema su tutte, sarebbe opportuno appurare serenamente, atteso il lungo tempo trascorso, la verità su quei fatti, riguardo ai quali, su Marzabotto, la pubblicazione del libro di Don Dario Zanini, testimone oculare, “Marzabotto e Dintorni 1944” in cui il religioso ascriveva la strage alla irresponsabilità dei partigiani, che pur a fronte della richiesta di un armistizio avrebbero trucidato la delegazione tedesca recatasi a trattarlo e per quanto riguarda S. Anna di Stazzema, il film di Spike Lee “Miracolo a S. Anna” in cui pure se non in maniera esplicita, si sollevava il dubbio sul fatto che anche quello spaventoso eccidio fosse stato provocato dai partigiani che scapparono dopo gli attentati compiuti esponendo la popolazione alla reazione tedesca, proiettano ombre inquietanti sull’ esistenza di un nesso di causalità tra quei tragici accadimenti.
Per concludere, ci sembra doveroso riportare le considerazioni di un grande storico come Francois Furet, ex membro del Partito Comunista Francese negli anni cinquanta, sulla diversa auspicabile prospettiva da adottarsi sine ira et studio sulla genesi e sulle vicende storiche del II conflitto mondiale, giammai per giustificare i crimini efferati del regime nazionalsocialista, ma essendo passati talmente tanti anni, che le stesse dovrebbero diventare ora e definitivamente argomenti della riflessione scientifica, invece che pretesti per la polemica politica partitica: “…l’ossessione del nazismo domina la tradizione democratica…questa ossessione, in realtà, invece di declinare man mano che ci si allontanava dagli eventi che ne avevano costituito la genesi, negli anni che ci separano ha continuato piuttosto a crescere. E’ diventata il criterio più importante per distinguere i buoni cittadini da quelli cattivi…anzi ha partorito persino fascismi immaginari, perché anche dopo la disfatta di Hitler e Mussolini si volevano trovare incarnazioni posteriori del fascismo. I crimini del nazismo sono stati così enormi che è senza dubbio utile e persino necessario mantenerne vivo il ricordo perché non abbiano a ripetersi. L’ossessione antifascista tuttavia è stata strumentalizzata dal movimento comunista…in seguito alla sconfitta di Hitler la storia sembrò allora rilasciare a Stalin un certificato di democrazia, come se a garantire la libertà bastasse l’antifascismo…e ha reso, se non impossibile, perlomeno difficile l’analisi dei regimi comunisti. Ed è altrettanto facile capire perché l’argomentazione anticomunista sia stata sottoposta ad un a sorta di tabù anche in Italia. Altrettanto grande era il tabù che gravava su ogni analisi comparativa o su qualsiasi idea di una reciproca interdipendenza tra comunismo e fascismo…l’ossessione del fascismo e quindi dell’antifascismo è stata strumentalizzata dal movimento comunista per nascondere la propria realtà agli occhi dell’opinione pubblica. Ne consegue quindi la necessità di mettere in discussione questa prospettiva che ha acquisito la potenza di una teologia, per avvicinarsi alla storia reale del fascismo e del comunismo…con più distacco…”.
Francesco Cuoco