Sabato sera alle ore 21, la Kharkiv Chamber Orchestra, inaugurerà il settembre musicale del Teatro Verdi di Salerno nella chiesa di San Benedetto, con un Concerto per la Pace, un preludio alla ripresa della stagione lirica con Pagliacci
Di Olga Chieffi
“Un òboe gelido risillaba/gioia di foglie perenni,/non mie, e smemora;”. Sono i versi centrali di “Oboe sommerso” di Salvatore Quasimodo che ci balenano dinanzi, ermetici, parole sonore, alla notizia che sarà un “Concerto per la Pace” ad inaugurare sabato sera in San Benedetto, alle ore 21, la rassegna concertistica organizzata dal teatro Verdi, che farà da preludio alla ripresa autunnale della stagione lirica, con il Pagliacci del centenario in onore di Franco Zeffirelli. Il concerto è stato affidato alla Kharkiv Chamber Orchestra, che avrà quale ospite l’oboista Francesco Di Rosa, già prima parte del teatro alla Scala, oggi primo e solista dell’Accademia di Santa Cecilia. Inseguendo il suono antico di questo strumento, penetrante, ironico, dionisiaco, attraverso i versi di Salvatore Quasimodo sarà come compiere “un viaggio” tra passato e presente, tra antico e moderno, tra mito e realtà, tra anima e mondo, tra il detto e il non detto, che attraverso un animo sensibile, che vive nel tutto a cui attinge, ci dimostra che la musica è vita nella quale immergersi per ritrovare quell’intima, segreta, innocente comunione con le cose del mondo. Il simbolo musicale è particolare, iridescente, capace di aprire al dialogo e alla parità, il più democratico, che è alla base di un linguaggio a momenti indecidibile, a volte perentorio, per cui non vi è veramente nulla da contrapporgli, in altri modi disperato o umile o glorioso, universale e sognante, che è quello della musica. “Tra sensazioni contraddittorie, la musica non è tenuta ad optare” scrive Jankelevitch in “La musique et l’ineffable” e il suo simbolo, che per natura genera e reca significati molteplici e nuove figure, che da un verso è qualcosa di dato all’uomo e dall’altro è qualcosa che l’uomo si foggia, inscenando magari un rito, ricordando quello di Platone offerto nel Sympósion, ovvero che ciascuno di noi è il simbolo di un uomo, la metà che cerca l’altra metà simbolo corrispondente. Sul più forte simbolo di pace, quello della musica e dell’arte tutta, senza alzare divieti e barriere a musicisti anche appartenenti ad altre bandiere, si andrà a dar principio a questo concerto voluto fortemente da Daniel Oren e organizzato da Antonio Marzullo, con la Sinfonia di Felix Mendelssohn-Bartholdy per archi n. 10 in si minore, che consta di un solo movimento nei tempi Adagio e Presto. Il brano, di forma classicheggiante ed equilibrato nei rapporti sonori, caratterizzato dalla sua agile melodia, segno della precoce sensibilità espressiva del compositore. L’adagio iniziale, dal carattere cogitabondo e moderatamente cantabile, conduce verso un tema deciso e ricco di contrasti, che sfocia in una chiusura ancora più mossa e vivace. Francesco Di Rosa sortirà in pubblico eseguendo il concerto di Alessandro Marcello in Do minore col suo stordente adagio. La timbrica coloristica dell’oboe rilascia le sue magiche iridescenze, cui fa da sfondo sontuoso. il tappeto ondeggiante dei violini. L’Adagio è uno dei momenti più intensi dolcezza espressiva, melodia di purezza ancestrale, melanconico cromatismo crepuscolare. L’allegro chiude con leggiadra sostenutezza, e classe sublime, una delle opere più pregnanti della letteratura oboistica. Affermava Bela Bartòk, negli scritti sulla musica popolare: “La musica romena è una cosa complessa, è ancora nel buio, è in fasce. E’ un misto di musica araba, slava ed ungherese, eppure ha un’atmosfera tutta particolare che non si può definire con parole. Gli influssi stranieri sono troppo evidenti per poterli negare. Nel bassopiano nevoso la musica è per lo più turca, nella Moldavia per lo più ungherese. La maggior parte delle melodie da danza è russa o greca. Ma nessuno deve addolorare: da tutti questi dialetti musicale nasce un particolare carattere personale”. Tutte collegate, queste Danze Popolari Rumene che ascolteremo, dichiarano precisi riferimenti regionali cui rispettivamente hanno attinto; e formano un tutto compatto, nell’ambiente armonico modale ovviamente omogeneo, nella sequenza e nei contrasti dinamici e ritmici, oltre che in quelli espressivi, dall’accorata e nostalgica malinconia all’allegria sfrenata. La prima, “Danza col bastone”, è in tempo Molto moderato; quindi la “Danza della fascia” è un Allegro. La terza, “Danza sul porto”, è in tempo Moderato. La quarta, “Danza del corno”, un Andante. La quinta è una “Polka rumena”, cui, strettamente collegate, seguono in Allegro e Allegro vivace due danze denominate “Maruntel”, quale brillantissima conclusione. Francesco Di Rosa riapparirà in pubblico sulle note del Concerto in la minore di Antonio Vivaldi esso viene utilizzato con accorta sensibilità timbrica e notevole interesse per il peculiare smalto brillante, solitamente subordinato, nella corrente letteratura barocca, alla tipica, patetica cantabilità dello strumento. Si continuerà con la Danza Spagnola di Myroslav Skoryk, il più grande compositore ucraino vivente. Nella sua musica si ritrovano tutte le espressioni del contemporaneo insieme a forti ispirazioni della cultura hutsula, potente fonte per molti compositori ucraini. Gli Hutsuli sono un gruppo etnico isolato nei Carpazi dell’Ucraina occidentale che ha conservato i propri tratti caratteristici di musica, danza, filosofia e arte. Finale con Oblivion di Astor Piazzolla il lento, dolcissimo, a tratti struggente tango che scrisse nel 1984, per la colonna sonora del film Enrico IV, di Marco Bellocchio. Un brano, questo, che ha la capacità di entrare, e soprattutto rimanere, nel cuore di chi ascolta. E questo “rimanere” sarà sempre la spia di un compositore che scava nel profondo, e deposita nei nostri ricordi note, accordi ed effetti che resistono al tempo.