di Erika Noschese
Due gruppi, almeno inizialmente, quello degli ebolitani e quello dei Napoletani che hanno poi raggiunto un “accordo”, operando insieme tra spaccio di droga e ingresso di cellulari all’interno del carcere di Fuorni. Un’organizzazione quasi perfetta, tra familiari che ricaricavano postepay, droni per il lancio di oggetti e pacchi nei quali venivano nascosti gli oggetti. Tra i tanti, un nome risuona, quello di Annamaria Vacchiano, nata a Salerno ma residente a Pontecagnano Faiano. La donna è agli onori della cronaca perché è tra i protagonisti dell’orrore di Pontecagnano: è lei, infatti, ad aver denunciato le torture subite da Marzia Capezzuti, la 29enne scomparsa e poi uccisa a Pontecagnano Faiano dai familiari di Annamaria; il corpo è stato rinvenuto il 25 ottobre 2022 all’interno di un vecchio casolare al confine con Montecorvino Pugliano. La donna è indagata per maltrattamenti ma è stato grazie alla sua segnalazione che sono partite le indagini su quella che si pensava, inizialmente, fosse una scomparsa e che poi si è rivelato essere l’omicidio, ad opera della mamma e del fratello, oggi lei in carcere e lui, minorenne, in una struttura per minori, con l’ipotesi d’accusa di omicidio ed occultamento di cadavere. La Vacchiano risulta essere la compagna di Vincenzo Lambiase, detenuto presso il carcere di Fuorni, arrestato per droga nel mese di marzo 2016. “Varenne”, era questo il soprannome attribuito ad Annamaria, proprio per l’abilità che aveva nel far entrare la droga presso l’istituto penitenziario grazie proprio alle direttive del compagno. Lambiase aveva un ruolo centrale in questa attività, dapprima con De Martino e successivamente, con il suo trasferimento al carcere di Carinola, con Beniamino Cipolletta voluto, anche con pressioni sul personale della polizia penitenziaria, nella sua cella, la numero 7 ed era il punto di raccordo tra il gruppo degli ebolitani e quello dei napoletani tanto che proprio alla Vacchiano era intestata la Postepay di un detenuto, D’Alterio, estraneo all’associazione criminale; inoltre, la donna effettuava – presentandosi come una persona diversa – colloqui anche con altri detenuti: “La tengo la cavalla però la faccio venire per me perché se andiamo per Lambiase, se viene per Lambiase è bruciata perché a lui è venuta Maria all’andata”, ha detto infatti De Martino in una conversazione con De Biase Emanuele. Un ruolo centrale il suo tanto che con l’ingresso della droga in carcere da parte di Annamaria De Feo è stata contattata per organizzare una nuova spedizione almeno fino a quando non sono stati interrotti i rapporti con un altro protagonista, Spinelli, facendo venir meno i presupposti per l’introduzione combinata con Lambiase in quanto l’uomo le doveva dei soldi.
Un praticante avvocato coinvolto nella rete
Erano ben organizzati i detenuti del carcere di Fuorni che hanno potuto contare, per far entrare merce all’interno della struttura, sull’aiuto di un praticante avvocato. Si tratta di Senatore Riccardo Maria Giuseppe, nato a Salerno il 5 novembre dell’85 che assisteva i detenuti Ahmed Dridi e Mario Rossi. Il suo ruolo consisteva proprio nell’introdurre a Fuorni telefoni cellulari e altri dispositivi idonei ad effettuare comunicazioni nonché operazioni materiali connesse all’acquisto, ricezione e consegna dei dispositivi. Per ricostruire la rete criminale sono state decisive le dichiarazioni del collaboratore di giustizia e di alcuni detenuti. Dalle loro dichiarazioni emergeva il ruolo rivestito dai detenuti, all’epoca dei fatti tutti ristretti presso il secondo piano A del primo reparto, nella camera nove dove i detenuti erano conosciuti come “gli ebolitani”. Secondo quanto emerge, la figura dell’avvocato viene presa in considerazione solo in relazione all’associazione criminale con riguardo al contributo fornito per il procacciamento e l’introduzione di cellulari e sim all’interno del carcere. Aveva rapporti soprattutto con Dridi, particolarmente attivo nella perpetrazione di condotte illecite per cellulari e altri componenti grazie all’aiuto di Monica Mancino, compagna del Dridi. L’avvocato avrebbe chiesto soldi alla Mancino, 500 euro, per compiere l’atto illecito ma alla fine ne avrebbe intascati solo 300. Il 26 giugno 2021 Senatore si reca al carcere con tre schede sim, come richiesto – tramite sms – da Dridi per poi rifiutare nuovi incarichi nel mese di luglio per poi cedere alle richieste di Mario Rossi tanto che pochi giorni dopo avviene una nuova consegna perché Rossi aveva preso impegni con altri detenuti. Della condotta di Riccardo Maria Giuseppe ne era a conoscenza anche il padre che in una conversazione telefonica esprime tutte le sue preoccupazioni circa il modus operandi del figlio, invitandolo a non intromettersi più nei suoi impegni lavorativi. Dall’ordinanza emerge che, nei confronti di Senatore, sussistono gravi indizi che consentono di inquadrarlo nell’ambito dei sodali criminali ma non emergono elementi idonei a dimostrare il pericolo di condotte recidivanti che possa porre in essere in cotesti diversi.
Spicca la figura di Domenico Stellato
Era Domenico Stellato, figlio del Papacchione, ad occuparsi dell’introduzione all’interno del carcere degli oggetti dopo che venivano lanciati dal drone, insieme a Lambiase, Cipolleta, De Simone, Ayari, Trapani, Silvestri, Nisi, Iannone, Martinelli, Gammarano, Guaccio, Di Biase, D’Alterio, Amaranto, Alfano e Rossi. Secondo quanto emerge era infatti tra i protagonisti principali tanto che veniva riconosciuto come tra i più attivi spacciatori. Coinvolto anche il padre Domenico in quanto spesso acquistava hashish da D’Alterio che un po’ usava per sé un po’ rivendeva ai detenuti al secondo piano B. Domenico Stellato, detenuto presso il primo reparto, era l’istigatore e il coordinatore dell’attività criminale insieme ad Ayari Hamza grazie all’aiuto di alcuni amici e parenti: Ceruso Corrado Gino era infatti colui che lanciava i plichi all’interno del cortile su richiesta di Stellato, accompagnato dal cugino Lorenzo Picardi. “Lo deve buttare nel campo”, ha detto Stellato a De Lucci. “Nel campo c’è un detenuto con la maglia rossa, deve buttarlo, ci deve mettere tutta la cazzimma che ha…”, ha aggiunto.
Dal corposo compendio investigativo non sono emersi elementi dai quali risulti che non sussistano affatto esigenze cautelari ovvero che, in relazione al caso concreto, le esistenti esigenze cautelari possano essere soddisfatte con altre misure. Ed invero, la prognosi di reiterazione di comportamenti delittuosi analoghi nei confronti dei predetti indagati, per tutti, si fonda sulle stesse modalità di esecuzione delle condotte criminose contestate, che sono state reiterate dagli inquisiti per l’intero arco temporale interessato dalle attività investigative. Il pericolo di azioni recidivanti, invero, si desume in primis dalle specifiche modalità e circostanze dei fatti contestati, come ricostruite dagli inquirenti,_sicuramente allarmanti, stante la reiterazione di simili comportamenti delittuosi in danno di soggetti diversi, ed in un contesto spazio – temporale ristretto e ben circostanziato, agendo con un modus operandi costante e “collaudato. Dunque, il particolare contesto e le modalità delle azioni delittuose perpetrate dagli indagati orientano nel senso di una ben delineata abitualità e professionalità nelle attività criminose, evidentemente caratterizzanti la personalità dei soggetti. Le circostanze, inducono certamente a ritenere la sussistenza del pericolo concreto di reiterazione di reati della stessa specie di quello per cui si procede, tenendo conto non soltanto della obiettiva gravità e delle modalità esecutive dei reati commessi, ma anche del curriculum criminale dei soggetti. deponendo nel senso di una acquisita professionalità a delinquere e di una intensa capacità criminale, elementi che conducono ad escludere il carattere episodico ed occasionale delle condotte tenute.