Trionfo assoluto alla prima del balletto di Petr Il’ic Cajkovskij affidato al Sofia Opera Ballet, sul palcoscenico del Verdi di Salerno, della protagonista Maria Petkova e di Francesco Congiusti nel ruolo del Buffone. E’ stato l’ultimo spettacolo che ha visto dietro le quinte il macchinista Vincenzo Pagano, che oggi il massimo cittadino piange
Di Olga Chieffi
“Come se tutt’a un tratto fossi caduto in un’acqua profondissima” scrive Descartes in Meditationes de prima philosophia. La sfida, il tuffo, sempre critico, dubbioso coraggioso, è stato fatto sabato sera al teatro Verdi, da tutti noi: dai ballerini, dal pubblico, dai tecnici del teatro, per un convincente Lago dei Cigni, il primo dei titoli dedicati alla danza dal nostro teatro, affidato al Sofia Opera Ballet, che si è dovuto adattare brillantemente ad un palcoscenico piccolo e non sufficientemente inclinato. Successo personale per Maria Petkova, nel doppio ruolo di Odette-Odile, quel alternanza di luce ed ombre che la vita riserva e per il buffone, Francesco Congiusti, in un ritorno alla massima tradizione che segna un deciso confine dove lo spettatore più attento si lascia trasportare nell’attrazione narrativa figurativa, facendosi assorbire dall’intramontabile storia tra peccato e purezza. Questo “lago” alimenta ulteriormente la leggenda di un mito, dentro un sogno, replicato infinite volte a cui non ci si sottrae mai, nell’apoteosi dello stile classico, adorato da schiere di generazioni. Ai più tale versione può apparire a sorpresa lasciando confluire un tema abbastanza ricorrente di questi tempi e cioè la ricerca della perfezione originale, con prospettive e risultati inattesi. L’indagine di Oleg Danovski, le scene e i costumi di Ivan Savov, mostra la via a come riprodurre un balletto in chiave classica, ritrovando quelle originali espressioni che non hanno tolto nulla al ritmo e all’incanto, ma infuso quello charme “antico” all’opera immortale dove il principe Siegfried incontra un cigno, in realtà la principessa Odette, trasformata dall’incantesimo del mago Rothbart. La coppia composta dalla Odette della Petkova e dal Principe Siegfred, impersonato da Tsetso Ivanov risultata assai sbilanciata, nei confronti del ruolo femminile, che ha oscurato del tutto quella maschile. La Petkova ha incantato schizzando un’Odette delicata, eterea, drammaticamente dolente e per contraltare un’Odile sinuosa e seducente, impreziosita da una tecnica sicura, dall’interpretazione e personalità convincenti, mentre Siegfried ha svolto un compito pulito senza trasmettere alcuna emozione. Spettacolare Francesco Congiusti nel ruolo del Buffone, il quale ha svettato sull’intero corpo di ballo, per esplosività di movimenti ed eccellente recitazione e gestualità. Applausi a scena aperta per le variazioni in scena, le grandiose costruzioni geometriche, il delizioso passo a quattro dei cignetti ben sincronizzato in gambe e teste, e lo struggente pas de deux del I atto. Quale è l’incantesimo del Lago dei Cigni? Senza alcun dubbio la musica, leitmotiv del cigno bianco, il solo del violino del pas de deux in quell’inusitata tonalità di Sol bemolle maggiore, un violino angelico che si trasforma in un violino diabolico nel III atto nell’incantamento di Odile e nell’oboe distorto e beffardo dopo di nuovo la cadenza dell’arpa, dalla cornetta usata nella Danse Napolitaine, nella Danses des petits cygnes ove nel moderato si ascolta una malinconica ed ossessiva idea enunciata dagli ottoni. L’allestimento di Danovski, che ha sovvertito diversi numeri, avrebbe dovuto esigere una maggiore cura sulla dolente forza espressiva, che non abbiamo notato nelle danzatrici del corpo di ballo, fuorchè sulla protagonista, e sul lavoro di piedi ed uso del collo con braccia convergenti che sviluppano un elegante port de bras appena accennato, crepuscolare l’allestimento in linea con la versione originale, in quei colori romantici sulle tonalità tra il blu e il verde scuro del bosco cari a Wilhelm Heinrich Wackeroder con quel “senso di ali”, che permette di sollevarsi in sogno sui turbamenti dello spirito e vivere la magica identificazione con Natura, ingrediente irrazionale che tutti i poeti romantici attribuiscono al potere della Musica, arte suprema, enigmatica, pura, che non imita, non significa, ma che fa sentire il sentimento, superiore alla poesia e alla pittura perché capace di esprimere il volto dell’ineffabile. E’ stato l’ultima partecipazione in palcoscenico del macchinista Vincenzo Pagano, il nostro ultimo “tuffo” con lui dietro le quinte, frammento di un mondo fragile e fascinoso, simbolo Enzo di una vita vissuta, tra commoventi brevi gioie, che si elevano e si inabissano senza un perché; un’isola piccola, un luogo-non luogo, il teatro fatto di canti, di suoni, pur se posto su un oceano oscuro e profondo, simbolo della passione dei nostri remoti sentieri.