di Peppe Rinaldi
Le informative della polizia giudiziaria rappresentano il classico genere di materiale da maneggiare con cura, come i pacchi con la scritta “Fragile” stampigliata su uno dei lati. Se li agiti nel modo sbagliato rischi di distruggere il contenuto e a nulla varrà il tentativo di rimettere insieme i cocci. Certo, le informative possono essere croce per alcuni e delizia per altri, in ogni caso rappresentano la base per le attività di indagine il cui coordinamento è assegnato dalla legge al pubblico ministero: è il pm che decide e valuta, coordina il lavoro e stabilisce se procedere oppure fermarsi dinanzi a un blocco di informazioni riguardanti un fatto determinato. E’anche giusto – ma ci sono scuole di pensiero diverse ancora oggi a quasi 40 anni dalla riforma Vassalli – che sia così perché si è cercato, con le modifiche al codice, di sottrarre il cittadino ai non infrequenti casi di abuso di potere da parte delle forze dell’ordine sul territorio. Il punto, però, è che spesso da un arbitrio s’è passato a un altro, classico caso di eterogenesi dei fini, tant’è che da anni il legislatore si contorce nel tentativo di trovare un equilibrio tra le due opposte, benché simili nel merito, tendenze negative dell’attività giudiziaria rispetto alle garanzie individuali e collettive. Ora,indipendentemente da chi e dal perché un’informativa sia stata redatta, conta ciò che vi è scritto, il merito, il contenuto insomma: è su questo che bisogna concentrarsi, non su altro, puoi leggervi assurdità e falsità ma puoi leggervi anche il contrario, si tratta di leggere, appunto, e regolarsi di conseguenza.
Tutta questa premessa per dire cosa? Cosa c’entra questo sproloquio para-giornalistico con l’Unione comunale Alto Cilento, argomento del quale questo giornale s’è occupato in due precedenti occasioni?
In qualche modo c’entra, perché Cronache ha potuto visionare una corposa informativa redatta pochi anni fa con la quale fu fatta una vera e propria radiografia, quasi una Tac, della situazione di questa strana associazione tra enti locali che, come abbiamo potuto vedere nel corso di questa mini inchiesta, presenta più di un lato opaco.
Debito che viaggia a due zeri, cessione solo sulla carta dei servizi dei singoli enti aderenti al sodalizio, quindi cessione fasulla, un andirivieni di distacchi, mobilità, assunzioni tramite concorsi farlocchi, personale recuperato in giro per la provincia sulla base di plateali raccomandazioni – oggi le chiamano “traffico di influenze” – di natura politico-personale (moglie di, marito di, figlio di, figlia di, amante di, alcuni in variante arcobaleno, nipote di, parente di, etc), un vortice di cooperative più o meno “sociali” con partite di giro di danaro pubblico di qua e di là, violazioni statutarie non proprio irrilevanti, stipendi e compensi per singole figure che sarebbero spiegabili solo dinanzi all’ingaggio di premi Nobel (il che, per carità, potrebbe pure essere), insomma il classico formicaio che si rinviene di sovente quando si va a ficcare il naso in questi ambiti. Un formicaio che, a quanto sembra, non teme calpestio né insetticida.
Cosa accadde negli uffici giudiziari all’indomani del deposito del voluminoso dossier investigativo non è noto, almeno non nei termini che potrebbero spiegare che quanto rilevato su queste colonne sia frutto di chissà quale fantasia.
Par di capire che fu deciso di spezzettare l’indagine cui si fu “costretti” ad accedere, in tre distinti tronconi, affidando l’approfondimento degli elementi segnalati alle varie articolazioni operative presenti sul territorio al fine di farne, com’è giusto che sia, una propria autonoma valutazione.
Due di questi rami vennero tagliati relativamente subito, nel senso che furono archiviati, di un altro non si ha notizia, legittimando con ciò l’ipotesi – salvo smentita – che vaghi ancora sulle sponde del Flegetonte in attesa di un Caronte che ne segni il destino traghettandola chissà dove, magari nella Caina.
Quel che sembra di potersi concludere è che l’Unione comunale Alto Cilento rappresenti uno strumento per l’esercizio del potere politico sul territorio, sicuramente legittimo in sé pur dinanzi a pratiche che, a valle, proiettano il tutto in una dimensione a tratti opaca a tratti inquietante.
Ancora di più se si considera l’assenza di tracce di vigilanza stretta su quanto avvenuto, “opposizioni” varie e sistema dell’informazione compresi. Siamo dalle parti del chi controlla chi e cosa, e chi controlla il controllore, per capirci.
Un prefetto, tanto per dire, non ha la titolarità a intervenire sull’Unione in quanto l’associazione tra comuni sarebbe di natura facoltativa, ma nulla gli dovrebbe impedire di concentrare l’attenzione sui singoli enti aderenti, ad esempio chiedendo conto della cessione delle funzioni all’Alto Cilento sulla carta mentre contemporaneamente si chiedono fondi allo Stato per quelle stesse funzioni che si dichiara di aver ceduto, il che è vietato dalla legge. E se una cosa è vietata dalla legge bisogna intervenire, non c’è altra soluzione se non siamo stati educati male.
E’ ipotizzabile, infine, che vi sia una relazione tra questo andazzo e ciò che è stato rilevato da fonti accreditate, secondo le quali alcune indagini avrebbero subito una specie di sterilizzazione collegabile a commensalità e collateralità varie, quali, ad esempio, l’acquisto, da parte di una toga, per pochi euro dalle mani di un referente intimo dell’apparato di controllo dell’Unione, di un vecchio rudere magicamente fattosi villa con piscina?
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