di Peppe Rinaldi
Bisogna prepararsi: nei prossimi tempi potremmo assistere a una rancorosa sequela di rivendicazioni, accuse, lacrime, sangue, dolori, annunci e vesti stracciate. Con finale tipico, cioè all’italiana: pagherà solo chi si sarà trovato al momento sbagliato in un posto più sbagliato del momento. Amen per tutti gli altri. Dove? Al Cfi (Consorzio farmaceutico intercomunale), maxi carrozzone in mano alla politica – inutile dire con la prevalenza di quale partito – ormai squartato, disossato e digerito fino alla paurosa cifra di 20 (venti) milioni di euro circa di debiti per un sodalizio che investe i comuni di Eboli, Salerno, Agropoli, Capaccio, Ascea, Cava de’ Tirreni, Baronissi, Angri, S. Egidio del Monte Albino. Prima c’era anche Scafati, che ne aveva la maggioranza, oggi ne è fuoriuscito. Debiti all’inverosimile, dunque, cresciuti geometricamente, per quale “giusta” causa sarà interessante capire a valle dell’imminente terremoto, annunciato da uno sciame sismico ctonio dato come prossimo alla luce.I dipendenti hanno annusato l’aria, peraltro non nuova per loro, e domenica mattina alle 11 si sono dati appuntamento per fare il punto della situazione. Con loro le organizzazioni sindacali, non si sa (almeno non ancora) quanto compromesse nella gestione del consorzio dal momento che è un segreto di Pulcinella averlo utilizzato come discarica per assunzioni di personale vario. Intanto la situazione sarebbe diventata insostenibile e la bancarotta, tecnicamente plateale, potrebbe essere alle porte. Con le implicazioni del caso. Circa cinquanta lavoratori, tra farmacisti e dipendenti, rischiano un pessimo Natale. Ma dove potrebbe annidarsi il virus che starebbe per portare altri zeri nei già ricolmi carnet contabili? Saltando a pie’ pari il vizio congenito e strutturale di un organo concepito e partorito nelle stanze del Pd quando, forse, ancora non si chiamava così, e al netto di qualche boccone lasciato cadere dal tavolo per nutrire piccoli pezzi del centrodestra, c’è da dire che non basta più individuare una delle cause principali del crac nella famigerata gestione “in house” dei prezzi dei farmaci. Su farmaci e medicine, si sa, non c’è da scherzare non foss’altro che per la quantità di danaro orbitante nel settore. E neppure il fatto che ci siano stati tali e tante ruberie degli stessi nel corso degli anni, alcune scoperte, altre no, altre ancora presumibili, potrebbe aiutarci in questa sede a capire cosa stia accadendo: oggi il tema sarebbe, per così dire, sportivo, nel senso che come nel calcio assistiamo, peraltro senza sorpresa, al fenomeno delle plusvalenze (aumento discrezionale del valore di un bene al fine di renderlo più solido e attraente) così nel nostro piccolo caso assistiamo a un disegno del bilancio aziendale consistente nell’apposizione di partite positive riconducibili a sovrastime del valore delle singole farmacie dislocate nei comuni aderenti al Cfi e determinate da un ipotetico incremento di valore delle stesse conquistato negli anni. Se una farmacia valeva dieci anni fa un milione di euro oggi ne dovrebbe valere almeno il doppio e quindi, avendole nel patrimonio, ne aumenta la capacità di rispondenza delle voci passive. Poi, però, bisogna vedere se sia così o meno, specie quando i debiti aumentano.
Plus valenze, chiamiamole così dunque, e tutti capiranno di cosa stiamo parlando. Per anni si è potuti ricorrere, grazie anche a una generalizzata distrazione degli organi di vigilanza (come nel caso delle assunzioni del personale attraverso concorsi taroccati, mobilità strane, porte girevoli tra Cfi e enti locali, uno scandalo senza fine ancora oggi) a un ingrossamento di costi e spese a fronte di entrate spesso periclitanti. Poi ci si è messo di mezzo il tipico fenomeno degli scontri politici interni, dipendenti infedeli, sindacati a volte conniventi, qualche “vigilante” che incassa qualche assunzione, fino a lasciare tutta la baracca nelle mani di personale più o meno burocratico disinteressato alla logica del consenso ma attento a quella dei propri destini. Mettici poi legami privati incistati su vincoli morbosi qui irriferibili, vendette trasversali, delazioni su accordi opachi tra governo del Cfi e amministratori di case farmaceutiche e arrivi a venti milioni di euro di debito. Che qualcuno dovrà pagare: in genere è la collettività, in quanto l’azione volta a stroncare la perversione di questi numeri da capogiro arriverà – se arriverà – tardi, come spesso accade. Se prima ai vertici giudiziari del territorio c’erano orientamenti volti a non infastidire troppo il piano della politica (si vedano alcune carriere politiche dirette, riuscite o tentate) oggi potrebbe essere cambiata qualcosa, al di là delle competenze territoriali.
La scorsa settimana sarebbero state sentite altre tre persone dagli inquirenti, segno che qualcosa potrebbe essere in corso. La polizia giudiziaria delegata, tra l’altro, pare fosse interessata ad approfondire la natura dei rapporti, anche personali, all’interno della struttura di comando del Consorzio e come questi stessi rapporti abbiano determinato il clima generale nella struttura, oggettivamente condizionato da questo dato.