di Monica De Santis
Alle spalle un fine settimana denso di emozioni e suggestioni per Claudio Malangone e la sua Borderline Danza, la compagnia salernitana tra le più in vista nel panorama campano. Il coreografo è appena tornato da un viaggio “esperienziale” in Vietnam, precisamente da Ho Chi Minh City, dove, in occasione del Festival Internazionale di Danza, Malangone non solo ha portato in scena la sua creazione, Pink or blue, ma ha anche messo in piedi una coreografia ad hoc per quattro danzatori vietnamiti.
Ci racconta qualcosa in più?
«Adriana Cristiano ha interpretato il solo al Festival Internazionale di Danza di Ho Chi Minh City, ma Pink or Blue, a proposito di palcoscenici di tutto il mondo che ci hanno visto protagonisti nell’ultimo week end, è andato in scena anche a Lisbona, in occasione dell’International Dance Festival Quinzena de Danca di Almada. Qui ha danzato Giada Ruoppo».
Che esperienza è stata per lei?
«Il progetto realizzato con e per il Vietnam mi ha arricchito. Ero già stato ospite di Arabesque Dance Company sia nel 2013 che nel 2014, quando abbiamo realizzato una co-produzione dal titolo Metamorfosi andata in scena sia a Paestum sia ad Ho Chi Minh City. In quel periodo ho lavorato però a Salerno con i miei danzatori e quelli vietnamiti. Questa volta invece ho raggiunto io loro per lavorare con quattro straordinari danzatori scelti da Tan Loc, direttore della Compagnia e uno dei partner del progetto Woman Made, finanziato dal MIC per il 2021-2022».
Come si è svolto esattamente questa sorta di scambio culturale?
«Siamo rimasti ad Ho Chi Minh una sola settimana: la prima parte del lavoro si è svolta on line, attraverso delle call durante le quali ho potuto condividere coi partecipanti il focus del progetto e quanto intendevo realizzare. Quindi, in mia assenza, hanno creato delle prime partiture coreografiche alle quali ho potuto dare un iniziale feedback ed eventuali suggerimenti. Giunti sul posto io e Adriana Cristiano abbiamo poi concentrato le nostre energie per terminare il lavoro iniziato, realizzando in poco tempo una performance che ha riscontrato un importante gradimento da parte dell’audience che ha riempito con la propria presenza, concentrazione e partecipazione il teatro».
Cosa porta con sé da questo viaggio?
«Il feedback più bello è quello ricevuto dai danzatori, avere sperimentato insieme una nuova modalità di lavoro, percependo il loro corpo in una maniera completamente differente, abitandolo con la loro soggettività e il loro essere nel presente. Così come sono, confrontandosi con il tema. È stata una grande esperienza di confronto tra le due culture, tra cosa ci divide e cosa invece ci accomuna. E il movimento ha fatto da importante tramite. Torno davvero soddisfatto».
Contemporaneamente la sua Compagnia ha debuttato al Festival Exister a Milano con Scherzetto, spettacolo andato in scena anche al Museo Archeologico di Pontecagnano. La danza è guarita dal Covid-19?
«Si e no. In tempi di pandemia abbiamo dovuto riadattarci per rispettare la nostra necessità di creare, rivolgendoci a prodotti fruibili per il web. Oggi siamo ritornati a viaggiare, con una consapevolezza diversa, con un maggiore senso di precarietà, sapendo che questo nuovo equilibrio potrebbe cambiare da un momento all’altro».
Facciamo un passo indietro: cos’è Pink or blue?
«È il titolo/contenitore di un lavoro coreografico collegato a Woman Made, progetto internazionale (finanziato dal MiC) dedicato all’indagine degli stereotipi maschili e femminili che, in costante trasformazione, definiscono il sistema di valori delle abitudini sociali. Blu o rosa: “Pagliaccetto con i robot per i Blu, pagliaccetto senza i robot per i Rosa… Si dice a Blu di essere virile, a Rosa di truccarsi; a Blu di mantenersi forte, a Rosa di restare giovane. A Blu si chiede di diventare ricco, a Rosa di fare figli…I bambini nascono in carne nuda”, si legge nella poesia della poetessa Hollie Mc Nish, versi ai quali mi sono ispirato per affrontare il tema con lucidità e ambiguità, attraversando significati e sensazioni e cercando di mettere in discussione ciò che si prova e le certezze di chi osserva. Sono partito dalla necessità di esplorare, verificare e mettere in pratica nuovi modi di composizione e del mettere in scena, grazie al sound designer Alessandro Capasso e alle danzatrici soliste nelle due tappe all’estero, ho cercato di dare vita a una dialettica drammaturgica che dia senso e significato all’azione. il desiderio è quello di abbattere un muro immaginario».
E Scherzetto invece?
«Qui un trio dì uomini, Luigi Aruta, Antonio Formisano e Pietro Autiero, sulle musiche originali di Alessandro Capasso eseguite dal vivo, indagano, danzando, alcuni aspetti razionali e irrazionali, naturali e quotidiani, oscuri e misteriosi legati all’esistenza».
Cosa la attende ora?
«Siamo pronti per nuove imprese, gli ultimi spettacoli da realizzare in trasferta. Borderline danza sarà in Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Marche, ma si esibirà anche a casa. Ci attende l’importante partecipazione a Linea d’Ombra, Festival per il quale realizzeremo una coreografia ad hoc, richiestaci dal direttore artistico Peppe D’Antonio. Ma per fine anno c’è anche un altro progetto che ci impegnerà molto: l’attivazione di Borderlab, contenitore formativo per giovani danzatori, che partirà il 5 ottobre prossimo e si protrarrà fino ad aprile 2023, con docenti internazionali provenienti da Università e Accademie importanti di tutta Europa e docenti italiani, direttori e coreografi di compagnie di chiara fama. Il corso, oltre ad offrire una formazione qualificata permetterà ai partecipanti di fare anche esperienze lavorative professionali, ed eventualmente partecipare a progetti di residenza nell’ambito del contenitore C. ReA.Re Campania, sostenuto dalla Regione Campania e dal MIC per il prossimo triennio, di cui Borderliinedanza è uno dei partners».