di Anna Villani
Luigi Novi ha 33 anni ed è di Angri, di professione docente. Laurea in Lettere e in Filologia Moderna all’università degli studi di Salerno. Giornalista e blogger: ha fondato la piattaforma virtuale “Prof on the road” che conta oggi 17.403 follower, molto seguita sui social network, aperta alla didattica, alle nuove tecnologie e metodologie di insegnamento. Strumenti e idee che Novi mette gratuitamente a disposizione della comunità che lo segue, docenti e studenti. A maggio del 2021 ha pubblicato pure il suo primo libro “Influencer di classe” (Delta3 Edizioni), recensito in LeggiLibri in onda su Rai3 e partecipato alla tredicesima edizione del festival letterario “Libri nel borgo antico” di Bisceglie. Professor Novi, docente, giornalista, influencer, altro ancora?
“Tutto nacque quando, dinanzi al dilagante fenomeno degli influencer, mi posi questa domanda: noi insegnanti in classe non siamo forse i veri influencer per i nostri studenti? Motivare i ragazzi allo studio, renderli protagonisti del proprio successo formativo, incoraggiarli nei momenti di insuccesso e di difficoltà, trasferire loro il gusto della curiosità e della ricerca, puntare sulle loro capacità non ci rende ogni mattina dei veri influencer di classe?” “Prof on the road” è il titolo di una piattaforma virtuale a cui ha dato vita sui social, un progetto didattico molto interessante. Ce ne parli. “Mi trovavo a chiedere ai miei studenti “cosa vorresti fare da grande”, la risposta della maggior parte dei ragazzi era “io voglio fare l’influencer”, “io invece lo youtuber”. Per me erano termini nuovi. Avevo un mio profilo social personale ma non avevo tanta dimestichezza con i social network. Capii allora che se avessi voluto continuare a vivere nella realtà, lavorando con i giovani, avrei dovuto creare anche una identità virtuale. Lo feci anche per cercare di arrivare tramite la rete a quella platea di ragazzi che in classe non avevano interesse a seguirmi, cioè a quegli studenti ai quali la scuola proprio non piaceva. Li raggiunsi proprio sui canali che loro abitualmente frequentavano e sui cui trascorrevano la maggior parte delle loro giornate. Diedi così vita alla piattaforma su cui iniziai a registrare brevi e simpatiche video lezioni, a dispensare consigli (come scrivere il tema perfetto, le cinque regole per studiare con metodo, perché è importante studiare ecc.). Fu così che iniziò a seguirmi in classe anche chi fino a poco tempo prima non voleva proprio saperne di studiare . Lo scopo era ed è anche far capire ai ragazzi che sui social non si trovano o scrivono solo frivolezze. Basta fare una ricerca con l’hashtag giusto per capire che i social sono anche molto altro. Con i social si può studiare, si possono fare interessanti scoperte, ci si può confrontare. Viviamo in un’epoca che bada sempre più alla forma che alla sostanza. Tutti vogliono apparire, catturare l’attenzione degli altri per ciò che mostrano di essere e non per ciò che sono realmente e i social hanno peggiorato questa situazione. Oggi la piattaforma Prof on the road è community di circa 18mila seguaci ed è diventata un luogo virtuale di scambio di idee, su cui mi confronto quotidianamente con colleghi di varie regioni italiane”.
Tra gli strumenti da Lei adottati c’è il “il role playing” calato in un contesto storico, di quali altri strumenti si serve nel suo compito giornaliero?
“Il role-playing è una delle metodologie didattiche che prediligo nelle mie classi. Si tratta di un’attività in cui gli studenti e le studentesse, sotto la guida del docente, assumono ruoli di personaggi in situazioni o mondi immaginari o simulati, seguendo un sistema di regole che lasciano però spazio all’iniziativa personale. Sono convinto che l’apprendimento meccanico non favorisca il profitto intellettuale e la gioia di imparare; quello concettuale sì. Il mio obiettivo è mettere i ragazzi nella condizione di pensare con la propria testa e i giochi di ruolo aiutano tantissimo. Ogni anno, infatti, coinvolgo le mie classi in attività sui generis per la loro età, mettendoli appunto nella condizione di simulare per esempio un processo. Uno dei processi che trova maggiori consensi tra il pubblico dei ragazzi è quello a Don Abbondio. Una delle ultime volte hanno addirittura trasformato l’aula in un vero e proprio tribunale: da una parte l’accusa, dall’altra la difesa, con le arringhe pronte ad essere recitate davanti alla commissione di giudici, chiamata ad emettere il verdetto finale. Un’altra metodologia che preferisco è il cirle-time, molto efficace sul piano socio-affettivo. Ma sono anche un docente che in classe dedica tempo alla classica lezione frontale-dialogata. L’insegnante deve anche saper tenere il palcoscenico, deve entusiasmare, appassionare altrimenti i concetti importanti non passano”.
E, da quest’anno, ho letto pure, che ha iniziato a sperimentare nelle sue tre classi, la metodologia “Writing and reading workshop”. In cosa consiste?
“Il Writing and reading workshop è una metodologia americana arrivata in Italia da un po’ di anni e che stiamo sperimentando nella scuola, eccellentemente guidata dalla Dirigente Anna Scimone, in cui insegno (Galvani, Angri). L’obiettivo del Writing and reading workshop, che ho conosciuto meglio grazie alla collega Cristina Faella, è quello di trasformare le nostre classi in comunità di lettori e di scrittori competenti, critici ed appassionati. Gli alunni imparano a scrivere su quello che viene definito il taccuino dello scrittore, una fonte preziosa e inesauribile di idee, suggestioni, materiali da utilizzare, da rielaborare, da inserire nel testo che si sta scrivendo o nei testi che si scriveranno. Si tratta di una metodologia che non vuole insegnare a scrivere, ma esplorare in quanti modi la scrittura ci può essere amica. Nelle ore di laboratorio di scrittura l’insegnante suggerisce pratiche di scrittura, stimola la creatività ed insegna ai ragazzi a giocare con le parole. Non si nasce scrittori. Si impara ad esserlo”.
In uno dei suoi ultimi post scrive: “Stamattina ho iniziato la lezione sul testo poetico leggendo un post pubblicato sui social dal cantautore Cesare Cremonini. Il testo della sua canzone “Qualcosa di grande” (1999) nato alle 11 del mattino di una lezione di matematica. Cosa ispira il suo lavoro?
“Durante i primi giorni di scuola di quest’anno scolastico è stato un post pubblicato sui social dal cantautore Cesare Cremonini ad ispirarmi e a offrimi lo spunto per introdurre in una mia classe il testo poetico. Insegnare significa anche sapersi adeguare alle esigenze degli studenti, portare l’attualità in classe, approfondire quei fatti che entrano nelle nostre case mediante i mezzi di comunicazione di massa. Perciò durante l’anno non mancano lezioni nate all’improvviso, dopo aver ascoltato ad esempio la frase di un ragazzo. Ricordo quando fu la citazione di Gomorra “mo ce ripigliamm ‘tutt chell che è o’ nuost” pronunciata da uno studente a dare vita ad un’interessante lezione di storia”.