di Clemente Ultimo
Si può fare della propria passione e del proprio stile di vita un lavoro? Sì, a patto di rimboccarsi le maniche e darsi da fare, come testimonia l’esperienza di Cristina De Vita che, partendo da una piccola rivoluzione personale, è arrivata a dare vita all’Eden foodlab, un vero e proprio “laboratorio” gastronomico. Chef a domicilio, delivery, servizio costruito su misura in occasione di eventi, tutto nel segno della cucina vegana e, più in generale, vegetale, particolarmente adatta a chi soffre di intolleranze alimentari. Ma l’Eden foodlab è un’esperienza che va oltre la cucina, proponendosi come un vero e proprio stile di vita. «Diversi anni fa – racconta Cristina – ho fatto una scelta di vita, puntando ad essere più “leggera” possibile. Questo significa adottare uno stile di vita che punta, ad esempio, a ridurre l’uso della plastica, a valorizzare i prodotti di prossimità, a favorire il riuso. Ovviamente il capitolo alimentazione non poteva restare fuori da questo percorso, sia per motivi evidentemente personali, sia perché la cucina è sempre stata una mia passione. Così, partendo da vegana autodidatta una decina di anni fa – quando era davvero difficile trovare prodotti veg – ho iniziato uno specifico percorso formativo». Un percorso che alla fine dello scorso anno porta alla nascita di Eden foodlab. «Sì, insieme a mio marito Carlo ho deciso di fare questo passo, una scelta tutta a nostra dimensione. È un impegno che ci permette di lavorare dedicando una cura artigianale al prodotto e di non limitarci alla cucina, che certamente è il nostro punto di forza. Sono tanti i corsi di formazione che organizziamo, non solo di cucina, puntando tanto sul recupero delle buone pratiche. Ad esempio proviamo a far comprendere che è possibile cucinare con zero scarti, utilizzando le diverse parti di un frutto per differenti preparazioni in cucina e quel che residua nella realizzazione di detergenti fatti in casa». Quel che appare a molti una novità, in realtà è il recupero di quello che un tempo era patrimonio comune, giusto? «Sì, senza dubbio. Soprattutto a partire dall’ultimo dopoguerra si è andata perdendo la memoria di un ricco patrimonio di tradizioni e di tecniche, tutte caratterizzate dalla riduzione al minimo degli scarti e dalla valorizzazione, in particolare in campo alimentare, dei prodotti di prossimità. Fortunatamente da qualche tempo è in corso un processo di riscoperta e recupero: il bello è che tante cose sono veramente alla portata di tutti con un minimo impegno e, una volta fatte proprie, rendono migliore la nostra vita. E poi studiando questo ricco patrimonio di tradizioni domestico si scoprono cose veramente interessanti». Un esempio? «La classica insalata di rinforzo protagonista delle cene e dei pranzi del periodo natalizio. Questa insalata nasce come portata fermentata con una precisa funzione: rendere più facile la digestione. Un toccasana in occasione dei cenoni in famiglia! Ecco, anche la riscoperta della fermentazione come tecnica da utilizzare in cucina ha il duplice vantaggio di farci recuperare un pezzettino della nostra tradizione gastronomica e, nel contempo, mettere a nostra disposizione un cibo più salutare. Anche le bevande fermentate, a cui mi sto dedicando in questo periodo, riservano tante sorprese interessanti». Tra i tanti corsi realizzati in questi mesi ce n’è uno in particolare che si è rivelato sorprendente per i suoi risultati, quello nato dalla collaborazione con l’associazione Pianeta 21. «Assolutamente sì. Il nostro è stato un incontro casuale eppure subito mi sono sentito in sintonia con questa associazione impegnata a sostenere ragazzi con sindrome di Down. In particolare mi ha colpita il loro obiettivo: guidare i ragazzi verso la progressiva conquista dell’autonomia. Ecco, ho subito pensato che tutto questo si potesse sposare con la mia personale visione ed ho proposto loro un corso di cucina vegetale: ne è venuta fuori una cosa bellissima. Mai come in questo caso è risultato essere vero che la cucina coinvolge e mette insieme tutti: i ragazzi si sono lanciati nella sperimentazione, hanno provato gusti da cui fino a quel momento si erano tenuti ben lontani ed alla fine hanno preparato da soli panini e torte. Con loro e con le operatrici è nato davvero un bel feeling, credo che sia questo il risultato più bello ed importante».