Alle 13.15 di ieri nessuna sirena ha suonata a Salerno per mantenere viva la memoria sul primo attacco aereo anglo-americano del 21 giugno 1943.
Qualche anno fa si, sul tetto della Provincia, ci fu una rievocazione con una di quelle sirene dell’epoca ed a largo San Petrillo fu deposta una corona di fiori.
Poi? Più nulla.
Sui social sono stati in pochi, ieri, a ricordare quel drammatico avvenimento: Il Prof. Nicola Oddati del Museo dello Sbarco, il giornalista Edoardo Scotti e l’ex parlamentare e Presidente della Provincia Andrea De Simone, per citarne alcuni.
Era il prima giorno d’estate del 1943 e molti salernitani erano per strada o in spiaggia, a Santa Teresa, quando una pioggia di bombe si è abbattuta Salerno.
Furono sottovalutate forse, il suono delle sirene anti aereo e le note di una tromba che proveniva dal serraglio dove, il giovanissimo Antonio Vitale, comunicava con il suo strumento l’imminente attacco.
Centinaia le vittime.
Don Aniello Vicinanza, priore dell’Annunziata, annota sul “Libro dei battezzati” della sua Parrocchia : “Oggi 21 giugno 1943, alle ore 13.00, la città di Salerno è stata oggetto di una spaventosa incursione aerea da parte dell’aviazione Anglo-Americana. L’incursione si è ripetuta la notte tra il 21 e il 22 giugno. Gli effetti di tutte e due sono stati spaventosi, vari edifici colpiti in città e nel sobborgo di Pastena, con qualche centinaio di morti e forse duecento feriti. La zona della Parrocchia della SS. Annunziata è rimasta miracolosamente illesa. (Sit locus dei et B. Mariae V)”.
Per i salernitani la guerra è lontana, al punto da sottovalutare perfino alcuni lanci la sera del 20 giugno che uccidono una persona e ne feriscono quattro: per la gente di Salerno l’aereo alleato è chiamato confidenzialmente “Ciccio ’o ferroviere”.
Il compianto ex Sindaco Michele Scozia, qualche anno fa, ha parlato di quella giornata e della sua famiglia rimasta in città nonostante l’allarme.
“La guerra sembrava lontana dal continente e permaneva l’opinione che la nostra città-ha scritto l’On. Scozia- sarebbe rimasta immune da bombardamenti e devastazioni. Se proprio si fosse reso necessario, ci saremmo trasferiti a nord di Salerno, dov’è oggi la nuova Università, tra i boschi e le ridenti contrade dell’alta valle dell’Irno. Nel frattempo i salernitani, da vera gente di mare, si facevano un dovere di tuffarsi nel limpido specchio dell’ acqua del fico . Fu su quella spiaggia che i salernitani, tenacemente convinti della invulnerabilità della loro terra, dovevano provare, il 21 giugno 1943, la piú amara delle sorprese. Neppure noi, che quella mattina eravamo rimasti in casa, facemmo a tempo a raggiungere il rifugio antiaereo. Rimanemmo, i miei genitori, Concetta ed io, stupidamente impalati, increduli, impietriti sotto l’arco della porta d’ingresso, incapaci di aprirla o forse consapevoli che immettersi verso la tromba delle scale poteva essere un tragico errore. Stretti l’uno all’altro, sentimmo giusto sulle nostre teste il rombo degli stormi nemici, cinquanta, cento, duecento, forse migliaia, compatti, ruggenti. Così inesorabilmente ossessivi che ognuno di noi si chiedeva con angoscia perché lo strazio dovesse durare così a lungo, perché quello spietato protrarsi dell’attesa, che cosa aspettassero a sganciare quelle tonnellate di odio e di semina di morte. Il tempo sembrò fermarsi, eppure si trattò solo di pochi minuti, i piú lunghi minuti della nostra vita, nei quali venne perpetrato quello che le cronache dell’epoca ricordano come uno dei piú devastanti bombardamenti di tutta la guerra. Per colpire gli obbiettivi prefissati, la stazione, la caserma, i pastifici, il gassometro, si fece cinico e indiscriminato tappeto su tutta la città. Fischiavano le bombe, scoppiavano sul capo, nei cuori e nel cervello della gente; spaventosi boati dappertutto, il sinistro sgretolarsi dei palazzi che crollavano per corso Vittorio Emanuele, via Diaz e piú su fino al Campo sportivo e al Sanatorio, si udivano le urla di terrore di quelli che scappavano e cercavano scampo senza saper dove, le grida strazianti dei feriti riversi nel sangue.” (La sciarpa, Salerno, 1984).
Pesanti i danni al rione San Giovanniello nel centro storico, e San Giovanniello non è stata mai ricostruito né un “piccolo monumento o una stele per ricordare le vittime del nostro quartiere è stato mai eretto” ci ha detto Luigi Giordano, nato e cresciuto tra San Giovanniello, i Mercanti, la piazzetta del Crocifisso.
E’ proprio lui, appassionato tifoso granata e generoso custode di tanti ricordi della città antica a ricordare gli avvenimenti del ’43, tramandati da nonni e genitori ed a proporre un Comitato per custodire e valorizzare la memoria di quei luoghi e della sua gente .
“Si tratta di un’area ricca di monumenti, a pochi passi dal Duomo, da Castello Terracena, dal Museo Provinciale, dove operano strutture ricettive, bar e ristoranti- continua Luigi Giordano- ed una iniziativa rievocativa del 21 giugno del ‘43 può contribuire a riqualificare e valorizzare un pezzo importante del nostro Centro Storico che tanto amiamo.”