Il medioevo declinato dalle “mulieres salernitane” - Le Cronache
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Il medioevo declinato dalle “mulieres salernitane”

Il medioevo declinato dalle “mulieres salernitane”

di Clemente Ultimo

Non secoli buoi, piuttosto un periodo animato da una grande curiosità intellettuale e da una capacità di indagare a fondo il mondo circostante, in grado di produrre visioni che oggi potremmo, senza eccesso, definire anticonformiste. È un medioevo ben diverso dall’immagine a molti familiare, quello che emerge dalle pagine di Mulieres Salernitane, il libro che Federica Garofalo ha dedicato ai sei figure femminili – sei medichesse, per l’esattezza – nate tra il 1084 e il 1422. Tutte accomunate dall’aver appreso l’arte della medicina nella città che per secoli ha ospitato la più importante scuola medica d’Europa, Salerno. Come nasce l’idea di raccontare un medioevo al femminile? “Senza dubbio dai miei studi universitari. È lì che ho scoperto un medioevo radicalmente diverso da quello studiato fino al liceo, un’epoca viva culturalmente, in cui non si sono perse le conquiste dell’epoca greco-romana e le si arricchiscono con il contributo della cultura araba. Secoli in cui le donne sono molto più importanti di quanto comunemente si crede. Ad esempio possono ereditare, sono soggetti capaci di svolgere un’attività economica. Questo grazie soprattutto al contributo del diritto germanico: ad esempio secondo le leggi longobarde – per venire a quella che per secoli è stata la realtà salernitana – se da un lato è vero che per operazioni di compravendita le donne necessitavano di un garante, dall’altro era garantito loro il diritto ad un quarto dei beni del marito. Anche per quel che riguarda l’accesso all’educazione siamo al cospetto di un’epoca che, grazie ai monasteri femminili, garantisce alle donne l’accesso alla cultura”. Perché scegliere le mulieres salernitane per raccontare un medioevo così diverso dai “secoli bui” della vulgata? “C’era la volontà di allontanarsi dal racconto del medioevo dell’Europa settentrionale, quello francese e germanico in particolare, per provare a portare alla luce un medioevo mediterraneo altrettanto affascinante ed interessante. Un contesto in cui Salerno ospita la più grande comunità ebraica del Mezzogiorno, è al centro di una rete commerciale internazionale, ospita la più importante scuola di medicina d’Europa, dove si possono reperire testi semplicemente introvabili altrove”. Come sono state scelte le sei protagoniste di questo libro? “Attraverso una memoria che si è tramandata attraverso i secoli dell’età di mezzo fino all’età moderna. È bene tuttavia tener presente che le sei protagoniste non rappresentano, nella loro epoca, un’eccezione: nel medioevo lo studio della medicina era aperto alle donne. Direi, piuttosto, che possono essere considerate la punta di un iceberg di cui si è finito con il perdere la memoria”. Perché ad un certo punto il ricordo delle medichesse si inabissa, scompare dal ricordo collettivo? “La figura della medica inizia a diventare un’eccezione quando, a cavallo tra i Duecento ed il Trecento, la medicina da arte si trasforma in professione e l’università diventa praticamente l’unico centro del sapere, una università i cui studenti sono, in definitiva, dei chierici. Inizia così un processo di rimozione della memoria di queste figure femminili. Addirittura nel ‘500 si arriva a dubitare dell’attribuzione a Trotula – meglio sarebbe chiamarla Trotta, suo vero nome – delle sue opere, attribuite invece ad un medico di epoca augustea. A rafforzare questo processo contribuisce l’allontanamento delle donne dal mondo del sapere, frutto certamente dell’ostilità del mondo universitario, maschile ed a tratti misogino. Anche l’affermarsi della borghesia mercantile ed il connesso recupero del diritto romano contribuisce a ridimensionare il ruolo della donna”. Per la stesura di questo libro sono stati necessari nove anni di studio e di ricerca, qual è il volto del medioevo che emerge da questa immersione nelle fonti? “Senza dubbio viene fuori un’epoca molto curiosa intellettualmente, un periodo tutt’altro che morto anche nel campo della filosofia della natura, ovvero di quella che oggi definiamo scienza. È innegabile poi che le università, pur tanto criticabili, siano state un grande centro di progresso, ad esempio in campi come la matematica o l’elaborazione di nuove teorie cosmologiche. Tanto per smentire uno dei tanti miti sul medioevo epoca oscura: nessuno, tra gli studiosi, credeva che la terra fosse piatta, anzi si aveva piena contezza della sua forma sferica. Uno studioso come Roberto Grossatesta è arrivato a teorizzare l’origine dell’universo da un unico punto luce. Si potrebbe continuare con gli esempi, ma credo sia ormai chiaro che siamo al cospetto di un’epoca tutt’altro che oscura, sicuramente da riscoprire. Soprattutto in una città come Salerno che nel medioevo ha vissuto uno dei periodi di maggiore splendore”.