di Antonio Ilardi
Le cronache dei quotidiani locali sono dense, negli ultimi giorni, di notizie sulla contrazione di numerose classi nelle scuole salernitane e sul rischio di chiusura di interi plessi. Le comprensibili proteste e le pur lodevoli proposte “di emergenza” avanzate dagli enti locali, rischiano di ridurre la percezione della condizione del Paese nei prossimi anni e di allontanare la focalizzazione delle possibili soluzioni. Tutte le indagini demografiche sono convergenti. L’ultima, pubblicata dall’ISTAT nel Novembre 2021, è impietosa: la popolazione residente in Italia decrescerà costantemente: “passeremo” dai 59,6 milioni al 1° gennaio 2020 a 58 milioni nel 2030. Le elaborazioni realizzate inducono a ritenere che gli abitanti del Belpaese diminuiranno progressivamente toccando quota 54,1 milioni nel 2050 fino a giungere a 47,6 milioni nel 2070. Un vero e proprio crollo! L’attuale fenomeno scolastico, dunque, non è che l’alba dell’attuale inverno demografico. In questo contesto, occorre dirsi con onestà intellettuale che le soluzioni per tenere in vita plessi, classi e cattedre saranno sempre più insostenibili.
La questione, avverte l’ISTAT, “investe tutto il territorio, pur con differenze tra Centro-Nord e Mezzogiorno. Secondo lo scenario mediano, nel breve termine si prospetta nel Nord (-1,3‰ annuo fino al 2030) e nel Centro (-2,2‰) una riduzione della popolazione meno importante rispetto al Mezzogiorno (-5,4‰). Nel periodo intermedio (2030-2050), e ancor più nel lungo termine (2050-2070), tale tendenza si rafforzerà, con un calo di popolazione in tutte le ripartizioni geografiche ma con più forza in quella meridionale. Nel Nord, in genere meno sfavorito, la riduzione media annua sarà dell’1,4‰ nel 2030-2050 e del 4,3‰ nel 2050-2070, contro i -6,9‰ e -10,3‰ nel Mezzogiorno”. L’ISTAT stima che il Mezzogiorno avrà perso al 2070 tra 5 e 8 milioni di abitanti, a fronte dei circa 20 milioni attuali!
In prospettiva, neppure l’immigrazione riuscirà a compensare il calo demografico e la popolazione italiana continuerà a decrescere nonostante i flussi in ingresso siano stimati, fatte salve diverse scelte politiche, tra le 280 mila unità dei prossimi anni e le 244 mila unità del 2070. “Cumulato sull’intero periodo di previsione, lo scenario mediano prefigura un insediamento a carattere permanente di 13,3 milioni di immigrati”.
“Anche le emigrazioni per l’estero dovrebbero recuperare nel giro di pochi anni i valori espressi nel quinquennio antecedente l’avvento della pandemia. Nello scenario mediano si presuppone in seguito una loro evoluzione stabile, da circa 145 mila uscite annue nel 2025 a 126 mila nel 2070. In totale, sull’intero arco di proiezione gli emigrati dall’Italia sarebbero circa 6,9 milioni”.
La prospettiva dei prossimi anni vedrà i grandi Centri urbani, soprattutto del Centro-Nord, continuare a esercitare capacità attrattiva dalle città e dalle zone rurali più remote, soprattutto del Mezzogiorno.
In tale scenario, vi è una sola regola: uomini e donne, più o meno giovani, seguiranno il lavoro e si sposteranno lì dove potranno trovare benessere stabile per se stessi e per i loro figli. In queste aree, il progressivo addensamento demografico costituirà esso stesso motivo ed occasione di ulteriore sviluppo, generando un circolo economico virtuoso. La residenza, e i contenitori edilizi in cui essa si svolge, saranno, invece, una conseguenza e non più l’origine delle scelte individuali e collettive. Per queste ragioni, occorre ripensare, da subito, ogni programmazione amministrativa e ponderare la destinazione urbanistica di ogni lembo di terra, evitando, ad esempio, la dispersione delle aree produttive per fini diversi ed impropri. E’, infatti, necessario, oggi più di ieri, informare ogni scelta ad un solo obiettivo: la creazione di opportunità lavorative stabili. L’alternativa è l’estinzione di interi nuclei urbani. Salerno non è esente da questo rischio e i banchi vuoti di oggi possono rappresentare, in effetti, solo l’inizio di questo processo.