Il “gioco” teatrale di Isa Danieli e Giuliana De Sio - Le Cronache
Spettacolo e Cultura teatro

Il “gioco” teatrale di Isa Danieli e Giuliana De Sio

Il “gioco” teatrale di Isa Danieli e Giuliana De Sio

di Olga Chieffi

Il “Sugo finto” romano di Giovanni Clementi, affidato ad Alessandra Costanzo e Paola Tiziana Cruciani per la regia di Ennio Coltorti, in cui manca il sedano, si trasferisce a Napoli, per uno spaghetto con le vongole fujute, con pomodori “schiattati” e senza prezzemolo. Una generosissima Giuliana De Sio, che non ha inteso tradire le aspettative degli studenti dei licei salernitani Torquato Tasso e Francesco Severi, in attesa dell’incontro con le protagoniste di “Le Signorine”, per il progetto di critica teatrale attivato dalle due istituzioni scolastiche proprio con il Teatro Delle Arti, ha introdotto lo spettacolo proprio affermando che lei stessa ha scovato questo testo che puntava unicamente sulla facile risata e lo ha di proprio pugno modificato, inserendo la strambata verso il dramma, affidandosi alla grandissima esperienza di palcoscenico totale di Isa Danieli. “Sono un’apprendista – ha affermato la De Sio, dopo aver ripercorso la sua carriera, le sue scelte, i suoi ripensamenti, le frequentazioni con i grandissimi, da Elio Petri a Marcello Mastroianni, da Lina Wertmuller a Massimo Troisi e, ancora, Gassman, Giannini, Strehler, i più bei nomi dello spettacolo italiano – lo sarò sempre. Se in teatro scelgo di persona i ruoli che intendo recitare, desidererei riprendere a fare cinema e televisione d’autore”. Un’ affermazione che ci ha ricordato uno degli aforismi di Oscar Wilde: “L’umiltà per l’artista consiste nella franca accettazione d’ogni sua esperienza, proprio come l’amore, per l’artista, è semplicemente il senso della bellezza che manifesta al mondo il suo corpo e la sua anima”. La versione strong, per un pubblico che ha dimistichezza con la lingua napoletana, essendo, questo spettacolo, stato rappresentato maggiormente al Nord con una parola un po’ addomesticata, ha fatto scatenare nel “play” le due mattatrici, la “gioia” della performance che ha in sé la radice ge della terra che è la stessa della conoscenza, gignosko, del gioco di dominare il palcoscenico e, quindi, del ritmo, della parola, del gesto, della musica, dell’arte tutta. Il testo molto semplice e legato ad un linguaggio, a volte deliberatamente caricato, è basato sul “contrappunto” alla mente delle due protagoniste Rosaria e Addolorata, due zitelle, poliomelitiche, la prima impersonata da Isa Danieli, affetta da avarizia patologica, di tirare su tutti i prezzi, di stare attenta ad ogni consumo in casa, evitando di accendere o acquistare ogni più semplice elettrodomestico e Addolorata, la De Sio, più giovane di venti anni, ottimista, che vorrebbe vivere, concedersi qualche divertimento, succube della sorella, in uno svolgersi della quotidianità tra casa e merceria, tra continui dissapori e discussioni al vetriolo, la quale trova unico conforto nel mondo dorato delle telenovelas, nella lettura degli arcani da parte dei maghi televisivi e nelle offerte delle televendite. A spezzare la monotonia di queste inutili vite, la telefonata dell’anziana zia che annuncia il matrimonio dell’attempato cugino carnale Tonino, con la sua giovane badante moldava. Basta questo per scatenare un ulteriore contrasto tra le due protagoniste che, in una raffica di velenose battute, mettono a nudo l’una gli errori dell’altra, risalendo al lontano passato, a piccole discussioni e rivalità mai risolte, incappando anche in affermazioni razziste, in particolare da parte di Rosaria. Una descrizione, questa, da cui possiamo evincere le connotazioni negative che, nei fatti, la società, di cui le due donne sono schiave, anche perché “toccate” dalla natura, impone ad una donna non sposata, che sarà acida, scontrosa, isterica o addirittura “strega” e “arpia”. Questo dimostra che è la società che vuole vedere nella donna, a cui “manca il marito”, una sorta di “menomata”, di zoppa, che sfoga sugli altri le proprie mancanze. Il colpo di scena avviene dopo il matrimonio del cugino Tonino, grande abbuffata e ictus per Rosaria, che finendo disabile, sulla sedia a rotelle, fa finalmente cambiare vita ad Addolorata, la quale spera addirittura in un amore straniero, come è stato per il suo parente. Le liti e la decadenza della vita reale, passano attraverso questo rapporto sado-masochistico, in cui vi è lo scambio dei ruoli di carnefice e di vittima, attraverso lo sperpero del danaro da parte di Addolorata, la quale rinnova guardaroba ed elettrodomestici di casa, inanellando bollette esorbitanti e cedendo anche lo storico negozio ai cinesi, temuti concorrenti di Rosaria. La paralisi fisica ed esistenziale proietta le due sorelle nel passato, alla ricerca del momento magico, l’amore dei genitori, le filastrocche, la mela grattugiata con zucchero e limone, e l’odio verso di loro che non concessero la vaccinazione anti-polio, che oggi come oggi diventa un tema attualissimo. Il “carnage” psicologico si colora, quindi, di disperata malinconia in una casa-prigione che, comunque, resta tale, quasi evocando il film “Che fine ha fatto Baby Jane?”. Sogno o verità? Rosaria e la morte popolano i sogni di Addolorata. Rosaria si libera del suo corpo finendo soffocata dal un cuscino, per mano della sorella, nell’armadio di Addolorata, in cui spesso si andava a rifugiare dopo l’ennesimo litigio: un finale interessante, poi annacquato dalla trasformazione in allegro fantasma (siamo pur sempre a Napoli) di Rosaria che continuerà, per sempre, a vivere con la sorella Addolorata. Applausi per una eccellente Giuliana De Sio, la quale ha sostenuto lo spettacolo come un perfetto meccanismo ad orologeria, interagendo con i ritmi della storica tradizione teatrale di Isa Danieli, inarrivabile donna di palcoscenico, che ha sfoderato una mimica facciale senza pari, dando luce ad uno spettacolo, in cui Sepe si è messo giustamente da parte, lasciando la scena ai virtuosismi delle due interpreti, che si aggirano nella casa costruita da Carmelo Giammello e “illuminata musicalmente” da Luigi Biondi.