di Olga Chieffi
Esistono opere considerate punti fermi, capisaldi della drammaturgia italiana, che il talento teatrale può valorizzare ulteriormente e far assurgere a capolavori senza tempo. E’ quanto accadrà da stasera a domenica, con “L’ultimo Scugnizzo”, la nota “piéce” di Raffaele Viviani, che chiuderà la rassegna “Qui fu Napoli… qui sarà Napoli”. Si tratta dell’ultimo degli otto spettacoli della rassegna dedicata agli autori partenopei contemporanei, organizzata dal Consorzio “La città teatrale” con il finanziamento della Regione Campania ed il patrocinio del Comune di Salerno. Come osservava Vasco Pratolini «Viviani non sta alla finestra, ma sulla strada da dove nasce… e il popolo napoletano da pretesto diventa soggetto di poesia e, rappresentandosi, si rivela a se stesso, grida le proprie ragioni, si giudica e si conforta». C’era in quegli anni (come c’è oggi) un forte desiderio di cambiamento, di mettere in discussione con ironia, con lo scherzo, con la sorpresa, con il distacco anche malinconico, talvolta con la satira, lo stesso fare teatro. ‘Ntonio, uno dei tanti scugnizzi che popolano Napoli, è diventato grandicello e vuole cambiare vita, desidera abbandonare la sua esistenza precaria, deciso a darle una svolta e a migliorare la propria posizione sociale. Tenta dunque di procacciarsi un lavoro dignitoso e onesto come segretario di un affermato avvocato, per offrire al figlio che sta per nascere, il calore di una famiglia ed un futuro sicuro. Si adopera in tutti i modi per conseguire il proprio scopo e, grazie alla propria astuzia ed all’esperienza di vita maturata per strada, sta per riuscirvi, ma l’annuncio della morte del nascituro recide il filo di speranza che aveva sorretto tutti i suoi sforzi. Per il giovane è la presa d’atto di una sconfitta, non tanto sua personale, ma di un’intera categoria, quella degli umili e degli emarginati. Qui sembra ravvisarsi un’interessante affinità tra la produzione vivianea e quella verista: entrambe volgono la propria attenzione ai ceti più modesti e ritengono difficile, se non proprio impossibile, liberarsi dai lacci della propria condizione iniziale. Non v’è mutamento sociale possibile per gli umili, che sembrano condannati a vivere eternamente negli stenti. Protagonisti saranno Claudio Collano, nei panni di Antonio Esposito, l’ultimo scugnizzo, Margherita Rago (suocera di ‘Ntoni) Ciro Girardi (avvocato), Antonella Quaranta (Moglie dell’avvocato), Antonello Cianciulli (Sarchiaponi), Rodolfo Fornario Peppe o navigante), e a completare il cast, Rosaria Sellitti, Lucia Ronca, Cristina Mazzaccaro, Aldo Flauto, Roberto De Angelis, Francesco Ronca, Rosario Volpe, Alice Maggioletti, Giuseppe Bisogno e Daniela Apicella alle percussioni e Cristina Mazzacaro Voce e chitarra, diretti da Ugo Piastrella. Palcoscenico aperto, semplici elementi scenografici, nel loro asciutto rigore, poiché Viviani ha conosciuto per propria esperienza, in Napoli poverissima, la condizione del più povero; e gli basta, talvolta, una battuta, un distico, per descriverla e vendicare il suo popolo dalle umiliazioni, dalle offese, dalla secolare ingiustizia. La sua, però, non è mai una parola ribelle, ma è sempre una parola amara, tagliente, dolorosa, è quella dell’uomo del popolo che sta dalla parte del popolo, e del poeta che sa dirne il dolore. Un mondo che ha come centro la strada, perché la strada è il cuore di Napoli, la strada dai mille vicoli che sono le arterie da cui fluisce ed in cui rifluisce la vita, la strada con i suoi “palazzi” e “palazzielli”, con i suoi bassi e le sue botteghe: di giorno fra i mille frastuoni, con le sue friggitorie, le sue pizzerie, i suoi “posti” di verdura e di frutta, i venditori ambulanti e la folla che pullula e vocia; e di notte è legata al mito della serenata e dei guappi. Anche se l’azione, per caso, si svolge in ambienti chiusi, la strada è sempre il presupposto e lo sfondo dell’azione; maestra di vita, origine e spirito animatore di un’arte inconfondibilmente popolare, che nasce dall’osservazione poetica di una realtà che interessa al di là dei confini cittadini; ed è, perciò arte nazionale. L’ultimo scugnizzo è uno dei testi più famosi del teatro di Viviani che tocca la maggiore intensità nella Rumba, in quel suo icastico e surreale ritmo giullaresco che riesce a creare suggestioni davvero singolari. Lo scugnizzo di Viviani è molto vivace, compie sulla scena capriole, atti pittoreschi, burle e rispecchia profondamente le sue origini e il suo modo di essere un ragazzino monello e sfacciato. Da questa visione dello “scugnizzo” napoletano nasce un bellissimo canto popolare che unisce a se un genere esotico quale la rumba, danza afrocubana nata nel 1920 circa, in uno splendido latin partenopeo.