di Olga Chieffi
Dopo il “San Totò” di Paolo Isotta, l’erudito, temutissimo, amato e odiato critico musicale che ha salutato la vita descrivendo la comicità di Antonio de Curtis, quale vertice di abbagliante metafisica, al teatro Ridotto, lo spettacolo “Eduardo artefice magico”, appuntamento centrale della rassegna “Qui fu Napoli, qui sarà Napoli” è terminato con la “santificazione” di Eduardo, portato in processione su di una scala, dall’intera compagnia, proprio perché i suoi testi vanno al di là del fatto teatrale. Commedie e drammi come Natale in casa Cupiello, Questi fantasmi!, Sabato, domenica e lunedì e Filomena Marturano, con i relativi personaggi, hanno raggiunto una moderna dimensione mitica ed orale insieme. Molte battute di quei testi sono entrati nel linguaggio di tutti come sintesi poetiche di verità morali condivise e come manifestazione prestigiosa di un ethos da rispettare e possibilmente da imitare, quasi in una sorta di rituale laico che si ripete. L’ Eduardo proposto dal regista Antonello Ronga è risultato uno spettacolo sinestetico con il profumo del ragù che ha “pippiato” per l’intera rappresentazione, partita dalla notte di Napoli che diviene la notte di un mondo senza valori, povero, litigioso, ma che si ritrova in una attesa, simbolo della fiducia nel ritorno delle prime luci di un nuovo giorno e nella speranza di un nuovo corso della propria vita. In poco più di un’ora si è tentato di ripercorrere, a volo d’uccello, le “cantate” di Eduardo, intrecciate con la sua poesia, partendo dall’inizio di “Uomo e galantuomo”, quella di “’nserra quella porta”, testo movimentato, macchiettistico, legato ai tipi e alle situazioni della Commedia dell’arte, nonché al teatro boulevardier, in cui, tuttavia, se ci si sofferma un istante, si vedono emergere aspetti e significati carichi di tanta umanità: quegli equivoci, quegli stratagemmi, quelle pazzie simulate, atte a risolvere o a trovare comunque degli “escamotages” a personali problemi, fanno scaturire la perenne contraddizione dell’uomo, che ha come prima preoccupazione se stesso e la sua immagine di fronte al mondo, e quella del galantuomo che è legato nei comportamenti da una sua personale etica, alla cui figura, però non siamo giunti. Ottima performance di Fortuna Capasso nel ruolo di Rita ne’ “Il cilindro”, che fu di Monica Vitti, un’azione agile e colorita, una situazione in cui il farsesco e il grottesco lasciano spazio anche a caratteri umani e sinceri. Al centro l’atto unico “Pericolosamente”, il pezzo più surreale e tagliente, che presenta uno strano menage coniugale in cui un marito per difendersi dal brutto carattere della moglie le spara, ma lei non muore e, convinta di essere salva per miracolo, torna ad essere docile e servizievole. Un’interpretazione graffiante, sorretta dalla grande ironia e comicità di Teresa Di Florio, Mauro Collina e Vincenzo Triggiano. A Valentina Tortora applausi per la grande scena di Rosa Priore in Sabato, Domenica e Lunedì e quella del risveglio dal matrimonio in fin di vita in Filumena Marturano. In mezzo evocazioni di altre opere attraverso le canzoni come “Uocchie che arraggiunate” per Gennariniello e Lo cardillo per Filumena, il monologo del caffè e ancora Natale in Casa Cupiello con la scena tra Ninuccia e la madre Concetta. Perfetto il Carlo Saporito di Mauro Collina, simbolo della grettezza d’animo, l’avarizia e la propensione alla prevaricazione hanno generato dei mostri, figure spietate pronte a tutto pur di salvare la pelle, anche disposte a tradire i propri cari. In un mondo dove la violenza è percepita come un ineludibile dato di fatto e in cui la correttezza e il rispetto reciproco sono vezzi ormai fuori moda e ci fa “mett’ paura”. Finale di spettacolo con la preparazione del ragù secondo i dettami della cucina di Eduardo. Applausi e appuntamento a sabato per il gran finale della rassegna.