Davide Cerullo, dal carcere alla poesia “La mancanza di amore la mia rovina” - Le Cronache
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Davide Cerullo, dal carcere alla poesia “La mancanza di amore la mia rovina”

Davide Cerullo, dal carcere alla poesia “La mancanza di amore la mia rovina”

di Erika Noschese

Davide Cerullo, Vincenzo D’Amato: due persone accomunate dallo stesso destino, una nuova vita dopo il carcere, dopo gli errori, dopo aver scontato la pena. “Storie di rinascita”: è stato il titolo della puntata di Le Cronache Live, il format del quotidiano Le Cronache che ieri ha ospitato Davide che a soli 10 anni era già ricercato dalla polizia, a 14 anni gestiva una piazza di spaccio a Scampia, a 16 anni è stato arrestato per droga, a 17 anni per poi essere “gambizzato” da killer di clan rivali, a 18 anni viene arrestato e mandato a Poggioreale. Proprio qui avrebbe fatto l’incontro più rivoluzionario della sua vita: attraverso la lettura della Bibbia accoglie pian piano il messaggio di liberazione che non è rivolto solo ai credenti, ma a tutti gli uomini, senza distinzioni. La sua esperienza in carcere è raccolta nel libro “Parole evase” (Edizioni Gruppo Aeper, 2013), dove viene data voce a lettere e testimonianze di uomini e donne che altrimenti sarebbero state per sempre taciute: le condizioni di vita dei reclusi, le loro riflessioni, le speranze e i dolori, tutto impresso su lettere nascoste o affidato a confessioni sottovoce. Dall’esperienza di Davide Cerullo nasce anche un progetto “Vela: rendere consapevoli”, del quale si parla nel libro “La ciurma dei bambini e la sfida al pirata Ozi” (Napoli, Dante e Descartes, 2013), per soccorrere i minori a rischio del quartiere Scampia. Nel 2014 Davide, dopo aver vissuto e lavorato a Modena con la moglie e due figli per qualche anno, è tornato a vivere a Scampia dove da un paio di anni ha fondato L’Albero delle Storie, un’associazione che promuove progetti educativi per bambini, quelli che lui stesso definisce “nati fragili”, e le loro famiglie. “Io sono uno in cerca di un grande forse, che continuamente si fa delle domande. Mi sono ritrovato a fare i conti con la forza sanitaria della parola e mi è capitato in un posto nel quale meno te lo aspetti: il carcere di Poggioreale, ero stato arrestato nel Padiglione Avellino, in totale 25, e questa parola – ha raccontato Davide – Gesù, oltre ad essere il più grande psicanalista di tutti i tempi, credo sia un poeta; la sua è la parola che ti mette di fronte alla tua responsabilità”. Davide ha ripercorso le tappe della sua vita, dal baratro del carcere alla rinascita, il cambiamento tanto sognato fino ad essere un faro, soprattutto per i più giovani: “Non si cambia, si torna ad essere quello che dovremmo essere e io mi sono perso, sono stato come un bambino che, entrando in un bosco, non ho trovato più la via d’uscita”. Per Davide, questa traccia persa equivale alla mancanza di responsabilità degli adulti, di un padre e una padre, una famiglia, una comunità che “oggi ci fa diventare macchine pubblicitarie con la moda, le macchine e le insoddisfazioni – ha aggiunto – Mi ritengo una persona felice perché libera, credo manchi un linguaggio elementare per farsi capire dai giovani”. Ed è proprio sui giovani che si concentrano i progetti ma, ha detto ancora lo scrittore di Scampia, “così si rischia di far diventare le persone infelici”. E lui ha scelto di ritornare alla sua vita, fatta di pascolo, animali e terra da coltivare, fino alla “voce tenue del silenzio, non quello egoistico ma un silenzio presenza dell’indicibile, dell’essenziale”. Secondo il giovane napoletano, i detenuti oggi non hanno bisogno di cultura ma di affetto, di abbraccio: “A me non ha salvato la cultura, noi nasciamo dagli incontri che facciamo più che dai libri che leggiamo e io sono stato in un carcere minorile a Caserta: alle celle, un ragazzo mi ha chiamato e mi ha tirato accanto alla sua cella. Non mi ha chiesto un libro, mi ha chiesto un abbraccio perchè è facile parlare di speranza, il difficile è sperare”, ha raccontato.