Aldo Primicerio
Mai sentite, mai lette in tutti i miei anni parole come: “Noi siamo per un astensionismo politico, non condividiamo la proposta referendaria” (Antonio Tajani, segretario di Forza Italia e ministro degli Esteri). O come: “Farò propaganda affinché la gente se ne stia a casa” (Ignazio La Russa, FdI e Presidente del Senato). O ancora: “La nostra linea è quella dell’astensione, prevista peraltro dalla Costituzione. Non è disimpegno: il nostro impegno è fare in modo che non si raggiunga il quorum”, Igor Lezzi della Lega).
Domanda, è illegale promuovere apertamente l’astensionismo in vista dell’8 e 9 giugno? Come fanno Meloni, Tajani, Salvini e la compagnia della destra, atterriti dai fantasmi del SI? Insomma un esponente del governo può invitare a non votare ai referendum?
Astensionismo. Una storia di crescente disaffezione al voto. Ma è legittimo che rappresentanti di un Governo facciano propaganda astensionistica?
Partiamo da una premessa. Secondo l’art. 75 comma 4° della Costituzione, i risultati di un referendum abrogativo sono validi solo se si raggiunge il quorum, ossia «se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto» (in altre parole, il 50 per cento più uno degli aventi diritto). Tra il 1974 e il 1995, nelle prime nove tornate elettorali in cui si sono votati referendum abrogativi, il quorum è stato sempre raggiunto. L’affluenza più alta si registrò proprio al primo referendum abrogativo, quello sul divorzio, tenutosi nel 1974. Poi, nel tempo, l’affluenza ai referendum – e più in generale, alle elezioni – ha mostrato un calo progressivo. Nelle ultime nove tornate referendarie, il quorum è stato raggiunto solo nel 2011, per i referendum sull’acqua pubblica, il nucleare e il legittimo impedimento. Nei casi in cui il quorum non è stato raggiunto, l’astensione potrebbe aver contribuito al senso diffuso del fallimento del referendum. Ma bisogna chiedersi anche se sia legittimo non votare. Qualche dubbio sulla natura giuridica dell’obbligo è rimasto fino al 1993, quando sono state abrogate due norme contenute in due articoli del Testo unico sulle leggi elettorali del 1957. In origine, l’articolo 4 del Testo unico stabiliva che «l’esercizio del voto è un obbligo al quale nessun cittadino può sottrarsi senza venir meno a un suo preciso dovere verso il Paese». L’articolo 115 puniva addirittura con una sanzione, anche se modesta, il mancato esercizio del voto. Ora invece l’art.4 si limita a proclamare che il voto è un dovere civico e un diritto di tutti, il cui libero esercizio deve essere garantito e promosso dalla Repubblica. Quindi la legge non contempla l’astensione.
E pertanto l’opzione del non-voto è legittima. Ma l’invito di un presidente del Consiglio e dei suoi vice-presidenti è altrettanto legittimo?
Costituzionalmente sì. L’art. 21 della nostra Carta stabilisce che tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero. Ma eticamente no. Se vogliamo distinguerci da un Governo che ragiona con una sola parte del cervello, ci convinciamo che un conto è la propaganda per l’astensionismo come manifestazione di opinione, un altro conto è un’azione organizzata volontariamente per forzare il libero convincimento dell’elettore. Morale finale: i titolari di una carica pubblica che dichiarano di non voler votare a un referendum – o che si augurano il suo fallimento, o ancora che invitano pubblicamente ad astenersi dal voto – non abusano del loro potere violando la libertà di voto degli elettori. E quindi non commettono il reato previsto dall’articolo 98 del Testo unico. Ma, se lo fanno, commettono una grande scorrettezza, incitando a non far funzionare correttamente un istituto di democrazia diretta quale è un referendum. Farlo è un appello all’indifferenza. E’ così, cari signori del Governo, che pensate di puntare al progresso del Paese, come dite in giro?
Ma l’8-9 giugno cosa andiamo ad abrogare se sbarriamo il SI nei 5 quesiti?
Vediamoli in estrema sintesi. Il primo è sulle imprese con più di 15 dipendenti. Se barriamo il SI ripristiniamo l’obbligo di reintegro del dipendente licenziato ingiustamente o senza fondamento. Viene eliminato l’obbligo di indennizzare il dipendente licenziato con un minimo di sei mensilità, ma resta la licenziabilità per colpa grave. Il secondo è sulle imprese fino a 15 dipendenti. Con il SI, nel caso di licenziamento senza giusta causa, ripristiniamo la valutazione dell’indennizzo da parte del giudice. Nel terzo con il SI ripristiniamo l’obbligo a ricorrere contro i contratti a termine con durata inferiore a 12 mesi, non più legittimi per lavori a carattere continuativo. Nel quarto con il SI ripristiniamo la responsabilità degli incidenti sul lavoro in capo al committente, oltre che all’imprenditore o subappaltatore. Nel quinto con la vittoria del SI ridurremmo da 10 a a 5 anni per tutti i cittadini stranieri maggiorenni il periodo di residenza legale in Italia necessario a chiedere la cittadinanza italiana, esteso anche ai figli minorenni dei richiedenti.
E qui ci chiediamo come regolarci. Non possiamo, non abbiamo certo il diritto né la voglia di dare suggerimenti. Ognuno deve interrogare la sua sensibilità per dare delle risposte. Ma, ragionando insieme con serenità e serietà, dovremmo riconoscere che ai primi tre quesiti il SI onestamente equivale a tutelare il nostro interesse di lavoratori. E questo con il massimo rispetto, stima ed ammirazione per chi investe e rischia per fare impresa. Sul quarto, sempre con onestà, dobbiamo chiederci per quale motivo un imprenditore debba controllare se i lavoratori rispettino le norme di sicurezza. E’ sufficiente ch’egli ne sia solo responsabile. E quindi, ma è solo la nostra opinione, sul quarto quesito siamo per il NO. Sul quinto, sempre onestamente, è solo una battaglia politica tra destra e sinistra sul grado di inclusività del lavoratore immigrato. Ed ai referendum noi non dobbiamo fare politica, come fa il trio Melon-Tajani-Salvini che sposta il referendum sul piano partitico e sull’antitesi ai partiti che sostengono il SI. Lo conferma il loro blocco sui 5 referendum. Senza distinguere, senza ragionarci su. E qui non possiamo farci niente. Testa e coraggio, uno, se non ce li ha, mica se li può dare…
Ed allora, cosa fare? Innanzitutto andiamo a votare tutti, o quanti più possiamo. E’ l’unico diritto che ci è rimasto. Dimenticavo: alle urne non siamo obbligati a ritirare tutte e cinque le schede. Possiamo anche rifiutarne qualcuna. Io lo farò con quelle del 4° e 5° quesito. Ma è solo la mia opinione personale. Ognuno si regoli come crede. Una cosa però consentitemela. Tra l’andare al mare o a farci una mangiata fuori porta, almeno una volta tanto siamo seri e responsabili, e mettiamo al primo posto la democrazia ed il nostro diritto-dovere di cittadini. E la mia non è propaganda, non è un manifesto elettorale. Mi linito a fare quello che faccio da 65 anni: esercitare la mia libertà d’opinione.





